ragazzo in

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Non sento più usare l’espressione “in” per indicare quando una persona è pienamente conforme alla moda o introdotta negli ambienti giusti, gli ambienti che contano. Come se dire “in” non fosse più in, ma ci siamo capiti. D’altronde la modernità è talmente frammentata e disomogenea che vi sfido a limitarvi a una duplice classificazione del reale a seconda di valori puramente aleatori come l’indice di gradimento. Siamo tanti e distribuiti in una molteplicità di pubblico mai vista, sicuramente a causa della varietà di sottocanali dovuti, manco a farlo apposta, al digitale e all’Internet. Pensate a quante community vivono a nostra insaputa nei meandri del web e del tutto ignare di quello che ci piace e non ci piace a noi influencer della parte “in chiaro”, o mainstream o comunque dedita all’auto-affermazione della propria identità in rete come la conosciamo noi, indipendentemente dall’uso o meno del nome e cognome vero e proprio.

Ci sono aggregazioni di persone fisiche in Internet che danno vita a micro (ma mica tanto) società che abitano in dimensioni che a definirle parallele è fargli un complimento. Lassù o laggiù o nel posto in cui stanno vanno di moda cose, indumenti, parole, libri e esponenti politici sconosciuti tanto quanto quello che noi pensiamo essere importante. Siamo dispersi in una forma di società neo-medievale fatta di monasteri dove si sta tutti dentro barricati a dare fondo alle risorse disponibili, rileggere testi sacri, magari produrre birra e spero comprendiate il principio metaforico di tutto ciò perché poi per strada, in ufficio, alle riunioni condominiali, sui mezzi pubblici, in piscina, in pizzeria vestiamo tutti i panni di una normalità di rito giusto per il tempo di non dare motivo al prossimo di insospettirsi sulle nostre società segrete. Non c’è nessun complotto, però. Semplicemente tutti abbiamo perso di vista tutti, da quando siamo frequentatori dei social network, malgrado sembri proprio il contrario. La gente conosciuta, quando è su Facebook, non la riconosci più? Ecco, è proprio quello che intendo io. Non c’è più nulla di “in” perché, a dirla tutta, già è impossibile capirci qualcosa, figuriamoci a dare un giudizio comune: sentendoci al centro di una rete di contatti globale ce ne guardiamo bene dall’usare in un’accezione di esclusività qualcosa che nella stra-maggioranza dei casi conferisce alle parole un significato contrario a quello di origine: incompiuto, incompetente, inadeguato, incapace, le prime quattro cose che ci vengono in mente di un lista tristemente infinita.

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