Se chiudete gli occhi e immaginate fortissimamente che il Venditti che si vede e si sente in giro almeno da “Dimmelo tu cos’è” non sia mai esistito possiamo ricordarcelo com’era: sufficientemente impegnato, molto campanilistico, parzialmente smielato, decisamente di successo e comunque innegabile colonna sonora degli anni 70. Non conosco nessuno a cui non piacesse e noi ragazzini le sue canzoni le sapevamo a memoria, soprattutto quelle di quei due o tre album cruciali lì, e mi riferisco a “Lilly”, “Ullallà”, soprattutto “Sotto il segno dei pesci” e soprattuttissimo “Buona domenica” con quella copertina alla “Fruit of the loom” che ognuno ce l’aveva di colore diverso. La mia copia è rosso bordeaux e contiene una manciata di pezzi discretamente degni di nota e perdonate se non mi scompongo più di tanto, perché ripensare al Venditti di allora con il Venditti di oggi ti viene voglia di non non fargli passare nulla. Comunque pezzi tristi come i suoi ce ne sono pochi, al mondo, e questo dobbiamo concederglielo. Al primo posto di questa classifica intrisa di malinconia c’è questo resoconto di una drammatica crisi del grande amore che fu di tutti noi, il Partito Comunista Italiano. Il timbro strappalacrime di Venditti fa a gara con quello lancinante del sax di Gato Barbieri e, ancora oggi, ci fa scoprire le nostre facce idiote allo specchio, mentre ascoltiamo commossi “Modena” di nascosto, cercando di non farci scoprire da nessuno.
Un pensiero su “quanto sei triste in una scala che va da uno a Modena di Antonello Venditti?”