Ci sono certi trafiletti sui quotidiani online che solleticano particolarmente la nostra curiosità morbosa e la smania di dare un’occhiata per vedere che è successo, anche perché quando ci capita dal vivo mettiamo le quattro frecce alla nostra attenzione e ci fermiamo a fare da spettatori, e sono quelli che riguardano i casi di genitori che si menano sugli spalti di uno stadio o di un palazzetto mentre i rispettivi figli, distribuiti in campo tra squadre avversarie, praticano uno sport i cui principi base, almeno in teoria, dovrebbero seguire comportamenti opposti. L’ultimo episodio era su Repubblica qualche settimana fa: padri sulle gradinate che si minacciano per poi passare alle mani, madri intorno che fomentano e figli attoniti a cui tocca interrompere la partita per calmare l’agonismo dei supporter di famiglia.
Bene, sappiate che questa volta io mi schiero dalla parte dei genitori e dico che fanno bene a menarsi. D’altronde è l’ora di dire basta all’ipocrisia e di gettare la maschera: i nostri figli sono prepotentemente balzati al top delle attenzioni degli adulti, quindi non vedo cosa ci sia di male a essere pronti a prendere a sberle il prossimo quando il prossimo si mette di mezzo al successo o alla realizzazione dei nostri figli, che poi è essa stessa la nostra. Avere un figlio con una media del dieci in pagella è appagante, certo. Ma un figlio campione in erba in uno sport risponde a quell’innato appetito di prevaricazione fisica che ci mette sullo stesso piano di una bestia qualunque. Non c’è niente come l’umiliazione di un avversario da parte di un nostro io in miniatura a trasformarci in creature primitive degne della curva di un anfiteatro ai tempi dell’antica Roma.
Se avete un figlio impegnato in una disciplina sportiva giovanile e dilettantistica saprete come ci si sente il lunedì mattina a rientrare in ufficio tronfi di una parte di sé – perché questo sono i figli – che è riuscita a farsi spazio nella vita – che in gran parte è la nostra, di vita – con la propria superiorità fisica a differenza di noi, miseri adulti costretti a rispettare tutte le convenzioni della vita sociale. Manager a cui chinare la testa, colleghi con i quali esercitare un forzato lavoro di team che da troppo tempo sopisce la nostra esplosiva individualità, e tutti quei micro-episodi quotidiani in cui sarebbe molto più semplice mandare affanculo o dare due sganassoni per tirarsi fuori dalle situazioni, ma che invece non possiamo affrontare se non comprimendo la nostra aggressività.
Il motivo per cui noi adulti, durante il fine settimana, amiamo relegare i nostri completi e il nostro look business casual nell’armadio per sfoggiare una comoda tuta e scarpe da ginnastica è per somigliare di più ai nostri figli, e sentirci ancora più uguali a loro mentre li accompagniamo agli antipodi della città per la gara o la partita della giornata, e quando i figli stanno in panchina siamo pronti a spianare loro strada lamentandoci con l’allenatore e la società. I maschi con il calcio o il basket o il rugby, le femmine con la pallavolo o la ginnastica artistica, al giorno d’oggi la domenica è sportiva più che mai, e noi genitori siamo pronti a difendere anche con la violenza il nostro diritto a vincere, nella vita, ogni tanto, almeno per interposta persona.