Ho acquistato ai saldi, pagandola una sciocchezza, una tuta così comoda che adesso non ho più voglia di uscire di casa, e quando mi parlano di ambiente di lavoro a me la prima cosa che mi viene in mente è la mia nuova tuta da casa con la felpa con il cappuccio e i pantaloni morbidi. Una volta era diverso. Mi trovavo molto a mio agio nei vestiti che indossavo per uscire e per andare al lavoro ma poi, non so quando è successo, ho preso a vestirmi senza particolare attenzione, con poca cura persino negli acquisti stessi, e da allora non provo nessuna soddisfazione. Forse è il corpo che cambia o forse succede che certi materiali come quello di cui è composta la mia tuta da casa ti fanno sentire a disagio con tutto il resto. Capita. Per questo vorrei indossare la mia nuova tuta da casa anche quando sono in ufficio ma, stando alle convenzioni della società di cui facciamo parte, non si può, o comunque perderei in credibilità, la gente penserebbe che sono un deficiente, che non ho rispetto per l’ambiente di lavoro.
In realtà l’ambiente di lavoro è importante, però poi, dopo un po’, non ci si fa più caso. L’attrazione si spegne come in altri contesti della nostra esistenza e, proprio come in una coppia quando uno chiude gli occhi immaginando di giacere con un altro, sei in ufficio ma inizi a desiderare di essere altrove. Sei in ufficio ma ti immagini di essere alla scrivania di casa tua, con il laptop davanti, a scrivere le pagine più intense del tuo nuovo romanzo in tuta e calzettoni di lana.
Ma c’è un altro aspetto, tutt’altro che secondario, da tenere in considerazione. Sin dal primo giorno in cui noi umani facciamo il nostro ingresso tra i pari c’è subito qualcuno che ce lo mena con lo spirito di squadra. Già dalla nostra prima esperienza in un contesto di gruppo comunitario costituito per il perseguimento di un obiettivo condiviso ci viene insegnato che l’unione fa la forza, che la collaborazione è la cosa più efficace del mondo, che insieme agli altri il valore dell’individuo aumenta la sua potenzialità. Poi ci sono fior di studiosi che analizzano i nostri comportamenti per mettere nero su bianco il nostro ruolo: il gregario, il leader, il suo braccio destro, il parassita, il bastian contrario. Così è nella scuola, così nel mondo del lavoro. Avete presente il team building? Le imprese che spendono milioni di lire in attività e iniziative per stringere i legami tra i colleghi in modo che dalle trame dell’identità aziendale non esca nemmeno un fidelino? I manager compongono squadre perché da soli la produttività va a rilento, non c’è un back-up di ruolo in caso di malattia, in tanti si aumentano esponenzialmente i profitti, in un certo senso ci si controlla a vicenda a tutto vantaggio del business eccetera eccetera.
Ecco, sappiate che a me non piace lavorare con altre persone. Preferisco lavorare da solo, sbrigarmi le cose da solo, arrivare alla conclusione che ho pensato io senza avere qualcuno che mi suggerisce delle varianti che possono snaturare la mia idea. E se lavoro da solo l’ambiente di lavoro posso allestirmelo su misura, come voglio io. E allora, come ambiente di lavoro, scelgo la mia nuova tuta, quella che ho acquistato ai saldi pagandola una sciocchezza, che è così comoda che adesso non ho più voglia di uscire di casa.
Tuta is the new dark. Almeno per me che non so fare a meno della comodità, ed ho in orrore i commenti fashionisti per cui anche in casa bisogna vestirsi “bene”.
La lira la rimpiango, un po’ perché sono diventata un’anti-europeista convinta ed un po’ perché sono sempre stata una reazionaria nostalgica.
Io rimpiangevo i tempi andati prima ancora che fossero appunto passati.
Quanto al lavoro di gruppo, per me equivale alla peste nera.
Sola, capo di me stessa, auto-organizzante e a mia misura; sempre.
Ti lovvo tanto per questo post ♡