Io lo so perché in giro c’è tutta questa confusione. Il mondo è pieno di gente che fa cose che dovrebbero fare altri mentre gli altri fanno le cose che la gente che fa cose che dovrebbero fare altri dovrebbe fare. Solo a scriverlo mi sono confuso, pensate un po’ a leggerlo o a cercare di capirlo. Allora facciamo così: alzino la mano quelli che hanno studiato per intraprendere la carriera x e sono giunti a x a tutti gli effetti. No, per voi ingegneri non vale. Sentivo ieri alla radio di quanto fosse eterogeneo il mondo degli educatori – per esempio – prima che venisse regolamentato da un sistema con tanto di titolo di studio. Certo, sosteneva l’intervistato, un conto è la patente e un altro è poi essere abili a guidare, quindi portati, bravi e capaci nel proprio lavoro. Ma ci sono dei musicisti che fanno i grafici perché l’estro poi è lo stesso indipendentemente da come lo rendi percettibile al prossimo e questo solo perché con la musica non si sbarca il lunario e dicono – ma io non ci credo – che basti smanettare un po’ con i software della Adobe per fare poi quel mestiere lì. Chi sa scrivere magari non riesce a fare proprio i milioni con i best seller però si mette a controllare il traffico del centro perché ha vinto un concorso e si è detto perché no, poi posso scrivere nel tempo libero ma finisce che tempo libero non ne hai più, disimpari a scrivere e da vecchio ti viene il mal di stomaco per il rimorso. Ci sono invece competenze che si acquisiscono per uno scopo e poi si mettono in pratica per tutt’altro, e il senso è che non si può mai sapere dove vanno a parare le cose. Un mago del software che non trova spazio alla corte di Zuckerberg perché trova tutto pieno e così si trova a divertirsi nelle scuole più povere re-inventandosi animatore digitale. Le cose che ho studiato io, giusto per arrivare al dunque con il solito pensierino sull’esperienza in prima persona, mi sono tornate utili prima o poi e nei settori più disparati. Ho risolto problemi nella vita pur essendo una capra in matematica e grazie alla grammatica latina e ho fatto il beat box impressionando una commissione a un concorso. Utile anche il calcolo dei battiti al secondo senza orologio e riuscire a riprodurre il La a 440 Hz (quello del diapason, per intenderci) grazie a un pezzo che ho composto con un folle mio concittadino e la cui nota di inizio è imbullonata nella mia memoria, o l’if-then-else della programmazione applicato al mestiere di padre. In generale sembra che un’infarinatura di una disciplina ti consenta un futuro radioso da tutt’altra parte e agli antipodi del contesto di partenza e tutto questo è molto bello, almeno secondo me, insomma c’è da divertirsi e il mio consiglio è di chiedere sempre alle persone che si conoscono (sempre che abbiate una vita sociale) come sono arrivate lì. Avrete delle sorprese.
Io ho fatto tanti di quei lavori diversi che non ti so più dire cosa è fonte di competenza, cosa le ha trasformate e cosa adattate. Di sicuro quelle scolastiche sono sepolte, ma a volte riemergono, coi compiti di mia figlia
Piacere, Antonio, ingegnere informatico che voleva fare il musicista e a un certo punto lo scrittore ma che adesso svolge il ruolo di burocrate.