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Uno degli aspetti più interessanti della musica degli anni ottanta è che, a differenza di quanto accaduto nelle altre decadi, essa costituisce un macro-genere a sé, e tutti i generi nella loro accezione tradizionale vi si sono adattati. Questo dimostra quanto lo stile di quegli anni sia stato forte e condizionante su tutto il resto, e probabilmente il fatto che abbiamo iniziato a sentirne la mancanza già dal primo gennaio del novanta significa che – ci piaccia o no – gli ottanta comunque ci hanno influenzato pesantemente. Di esempi ne possiamo fare a tonnellate e vanno dall’hard rock e heavy metal (pensate agli Europe o a cose meno ibride come i Mötley Crüe), al reggae (senza tirare in ballo la deriva pop degli UB40 sentitevi “Steppin Out” degli Steel Pulse), per non parlare del soul-funk (mi viene in mente “Word up” dei Cameo), l’hip-hop e il rap (Afrika Bambaataa) fino al rock in generale e a tutta la musica elettronica, disco compresa, che negli 80 ha dato il meglio di sé. La riflessione che si apre è che la musica degli anni ottanta sia stata un unico e gigantesco polpettone pop e che artisti e cantanti di quegli anni fossero unicamente presi dalla smania di raggiungere il mercato, che nella storia della musica non è mai stato così ampio e sconfinato, anche per i numerosi sconvolgimenti politici e sociali dell’epoca. Come a dire che tutti, dal più impegnato al più scanzonato, abbiano fatto a gara a essere il più commerciale possibile, che poi non c’è niente di male, eh. Tutto questo perché ieri sera, quando ho sentito questo pezzo, ho pensato che non sentivo nominare i Matt Bianco credo dall’estate dell’esame di maturità, e in tutta onestà avrei tirato avanti ancora un po’ nello stesso stato di oblio.

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