Oggi è tutto talmente liquido, ancora per dirla come coso là Bauman, che si mescola che è un piacere. Tragedie e Pokemon scorrono veloci insieme rimestate dai gorghi e lungo le insenature inquinate del nostro divenire che volge verso le cascate finali oltre le quali boh e nessuno che si prenda la briga di mettere tutto in pausa e darsi un contegno. Questo perché le cose sono un gigantesco sistema multitasking, noi stessi non siamo in pochi in quella frenetica ora di punta che è questo periodo storico dove tutti ci teniamo a confermare la nostra presenza, quindi finisce che il particolare perde la gara decisiva con il generale e nel minestrone informativo color acqua sporca che ne deriva certi dettagli non si vedono più, se avete fatto almeno le medie saprete qual è la questione dei solventi e dei soluti. Ma all’indifferenza con cui approcciamo la drammaticità di certi eventi – i cui aggiornamenti consultiamo al ritmo di “The Show Must Go On” dei Queen, e già per questo probabilmente non abbiamo scampo – non esiste un piano di redenzione standard o comunque plausibile. La presentazione stessa delle notizie, incasellate sulle pagine web di quelli che una volta rispettavamo come quotidiani autorevoli, con il criterio digitale e scellerato che le appaia nell’opposta portata del loro significato, si presta perfettamente alla nostra impostazione emotiva per cui a meno che la morbosità per il macabro non prenda il sopravvento ecco che già siamo sul clima tropicale, sull’angelo del violoncello suona per i malati terminali, su Pellè che vola in Cina con Viktoria e i tifosi impazziti per la coppia. Non so da chi abbiamo imparato questa sorta di schizofrenia che probabilmente è indotta dall’autoconservazione o da quell’intuito ipocrita che spinge a mollare tutto e tutti e metterci al sicuro. A chiudere gli occhi, tapparci le orecchie, serrare la bocca. Ecco, questi sono i nostri primati, nel senso delle scimmie, però.
Credo che il mondo raccontato dai media sia tanto terrorizzante quanto insensato. Credo che si arrivi alla saturazione e non necessariamente per cinismo. intorno ai quaranta-cinquant’anni credo che di orrori ne abbiamo “conosciuti”, pur indirettamente, dall’angolo privilegiato di chi li vede al telegiornale. Forse – forse – è lecito anche non sentire il bisogno che qualcuno ci ricordi costantemente, con una selezionata scelta di cose per cui commuoverci o indignarci – che esistono forme aberranti di intendere la vita, la morte e l’umanità. Ogni giorno nel mondo muore una quantità di persone incalcolabile, e alcune di queste per violenza, geopolitica scellerata, corsa al risparmio che porta a lavorare male e quindi causare incidenti, crolli, e così via. credo fermamente che la verità sia un mosaico e che a ogni persona che muore, specialmente per quelle ragioni, se ne perda un pezzetto. Tuttavia, non mi sento minimamente in grado di comprendere in dettaglio, raccontare e meno che mai contribuire a risolvere anche un singolo, minuscolo episodio. E quindi quale spazio dare? Quale spazio dare alle foreste che continuano caparbiamente a crescere e di cui si parla sempre meno?
E allora? Allora posso fare le mie piccole scelte individuali e quotidiane, consapevole della fortuna di potermi permettere anche solo quelle. Abbiamo coltivato l’illusione che informandoci potessimo fare la differenza, ma la differenza, se la facciamo, e nei limiti in cui ognuno di noi può farla, la facciamo semmai, forse, ostinandoci a coltivare il nostro senso della vita, confrontandolo magari con quello degli altri, ma è come per i giardini: bisogna tenere conto dell’ambiente, degli altri giardini circostanti, ma alla fine è il nostro giardino quello che coltiviamo, siamo noi a zappare e vangare, siamo noi a scegliere le piante ed è la nostra capacità di prendercene cura che le fa crescere. Se verrà bene, qualcuno potrà prendere lo spunto, ma mettiamo anche in conto che non succeda. potrebbe anche darsi che la sua stessa esistenza sia distrutta a causa di altri. Ma non è da quello che succede all’esterno che dipende il fatto che quel giardino sia esistito, e la gioia che ne abbiamo tratto.
Scusami, ho scritto un libro, praticamente, grazie davvero, perché mi hai dato modo di cercare di riflettere su un tema che per me è sempre molto “spinoso”.