Non ho mai capito il motivo per cui le donne ci odiano quando ascoltiamo progressive. Rientrano a casa proprio a circa 6.58 di “The return of the Giant Hogweed”, quando sta per partire il crescendo di uno dei finali più epici della storia della musica e nemmeno ti avessero colto in flagrante con la vicina chiedono subito cos’è sta roba. Questo significa che non solo svanisce tutta la carica emotiva che ha fatto salire l’ascolto fino lì ma anche che puoi fare ciao ciao con la manina al lato B di Nursery Crime e a quel punto o viri su qualcosa di prodotto dopo il 1980 oppure meglio spegnere lo stereo e chi si è visto si è visto. A me, per dire, non c’è un momento più adatto di un caldo pomeriggio di fine primavera trascorso in casa in cui mi concerei persino come il Cappellaio Matto dell’etichetta della Charisma Records che ruota sul piatto a 33 giri eppure, sapete meglio di me, questo genere di attitudini non sono tollerate nelle coppie moderne. Saranno i flauti e gli strumenti non convenzionali. Sarà l’organo che ricorda i momenti di preghiera collettiva nelle cattedrali gotiche. Saranno i moog con l’effetto portamento che consente di passare da una nota all’altra glissando sui toni intermedi. Saranno i repentini cambiamenti di tempo e la varietà melodico/armonica che destabilizza chi è poco avvezzo all’irregolarità e all’asimmetria. O sarà forse la voce di Peter Gabriel l’ascolto della quale ormai avulso dai legnetti africani o dai sassi sonori dell’Amazzonia non riconosce più nessuno quando ancora si trovava al massimo della sua carriera artistica? Il progressive non si concilia con l’amore moderno, e se non volete essere destinatari di un’istanza di divorzio lasciate perdere i Genesis e gli altri vostri passatempi preferiti, come fare i controcanti alle voci o identificare le somiglianze tra canzoni cantando il ritornello dell’una sugli accordi dell’altra. Le donne tollerano di più addirittura le serate al bar a giocare a biliardo o le partite di calcetto. Che poi, voglio dire, Gabriel da giovane era un figo da paura, no?
Non incontrano il favore delle donne neanche Wes e Miles, temo.
Questo non è il solo mistero che custodiscono le donne (beate loro)…Ma il punto di partenza del tuo condivisibilissimo discorso musicale ci porterebbe lontano…e il tuo lodevole tentativo di decifrarlo è destinato certo a cadere nel vuoto. Mi sono accorto che nei gusti musicali delle persone (non solo delle donne) giocano molteplici fattori. Nel mio tentativo di analisi una prima scrematura la fornisce l’età anagrafica delle persone e l’abitudine con cui sin da piccoli familiarizziamo con certi suoni…Ma siccome non può bastare questa considerazione e siccome ogni persona sviluppa naturalmente un suo personalissimo concetto legato alla musica ( se tu sottoponessi al giudizio di ogni persona valanghe di suoni, canzone dopo canzone, troveresti che, inevitabilmente, i tuoi gusti musicali divergeranno sempre più da quelli di ogni altro essere umano), alla fine, per non prenderti la fatale incazzatura, ti consiglio di tornare filosofo e possibilmente al dantesco “Vuolsi così colà come si puote ciò che si vuole e più non dimandare”. In quanto ai Genesis, rimarranno sempre (insieme ai Beatles e ad altri che non ti nomino per non farla lunga) il mio gruppo preferito e, almeno fino all’album Duke, di loro non riuscirei a scartare quasi nulla. Però, forse, un giorno mi tornerà la voglia di pubblicare qualcosa che ho scritto in passato (tante pagine) in merito a quest’argomento. Certo, il più delle volte, quando ascolto pontificare dall’alto molti critici musicali mi cadono le braccia che mi servono per tenere su le brache che già mi sono calate e per non dare scandalo in mutande ritorno definitivamente all’ascolto dei due decenni musicali più straordinari e irripetibili che ho conosciuto (e vissuto): gli anni ’60 e ’70, ovviamente). Ad ogni buon conto “Buona ricerca della verità ultima” da condividere con noi.