Tra dieci anni, se esisteranno ancora i Social Network, si farà a gara a condividere il proprio pensiero su che cosa stavamo facendo il 14 aprile 2016, quando improvvisamente dopo Bowie, Casaleggio, Paolo Poli, l’aeroporto di Bruxelles e la leggera (per fortuna) ischemia di mia mamma si è consumata l’ennesima tragedia. A me ha avvisato la mia amica Paola che doveva inviarmi un Wetransfer con una marea di foto di una partita di pallavolo delle nostre figlie. In calce, nella mail, mi ha chiesto come mi sentivo per via del fatto che la musica era finita.
Sono andato subito sul sito di Repubblica e, avuta la conferma, il mio primo pensiero è stato che cosa scrivere qui. Per sicurezza ho riacceso l’unico synth che mi è rimasto, un Microkorg che tengo inscatolato nel ripiano dello sgabuzzino con altre cose che uso rarissimamente come la carta da regali – perché mai dovrei fare dei regali e, soprattutto, incartarli – e che non accendevo dall’ultima prova con il mio ultimo gruppo di almeno sei anni fa. Comunque l’ho riacceso e in effetti non è uscita nemmeno una nota. Ho provato pure a fischiare ma niente.
Avevo notato già qualche avvisaglia. Mi chiedevo per esempio che cosa ascoltare correndo (ah se vi interessa ho allestito persino una pagina Facebook in cui do consigli di musica non convenzionale per runners – o almeno li ho dati fino a ieri quando la musica non era ancora finita – e che trovate qui) ma le playlist risultavano sciape e vuote, al terzo o quarto pezzo già mi passava la voglia. Osservavo la mia nutrita collezione di vinili ma nessuno mi veniva incontro come succedeva qualche mese fa. Be’ che c’è da guardare così? Voi avete i cagnolini che vi fanno le feste quando rientrate dal lavoro? Io avevo queste centinati di trentatré giri in vinile, alcuni neri e altri colorati, che sgusciavano fuori saltellanti dalle loro copertine come i delfini quando gli istruttori gli fanno vedere il pesce al bordo della piscina.
Quindi niente, ora che la musica è finita – ho pensato prima – dobbiamo mettere a punto una strategia perché non so voi ma io senza musica non ci sto. E la prima cosa che mi è venuta in mente – agire di impulso a volte sorprende anche le persone più scettiche della fazione di quelli che valutano tutte le conseguenze – la prima cosa che mi è venuta in mente è, non ci crederete, una scena del film “Il partigiano Johnny” di Guido Chiesa. Ora, a parte il fatto che quel film è una merda e mi spiace che un capolavoro come l’omonimo libro di Fenoglio con uno dei temi a me più cari al mondo sia stato reso cinematograficamente in quella versione da mentecatti con un cast di braccia rubate ai call center.
Comunque nel film mi aveva colpito la scena in cui Johnny balla un lento su “Moonlight Serenade” di Glenn Miller. Non avrei mai pensato che il primo brano di cui avrei avuto voglia il giorno in cui la musica fosse venuta a mancare fosse proprio “Moonlight Serenade” di Glenn Miller che è anche uno dei temi preferiti da mia mamma e lo era anche di mio papà. E se sembra veramente fuori dal mondo, anche quello del cinema, che un partigiano sia riuscito a mettere su un disco in piena Resistenza su un grammofono e a ballare proprio quella canzone lì, vi assicuro che il mio disco incredibilmente ha funzionato e funziona ancora. Si sente. Non è un vinile, ma una raccolta da quattro soldi di pezzi di Glenn Miller su CD. Chissà se duplicandolo e diffondendolo in rete, in qualche modo, qualche piccolo rigurgito di musica torna a popolare il nostro pianeta? Magari la musica è nata proprio così, con qualcuno che all’inizio dei tempi ha diffuso in qualche modo una canzone che gli ricordava i suoi genitori e da lì è cominciato tutto.