del perché siamo pronti a sdegnarci per la musica

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C’è una legge non scritta secondo cui quando si sente della musica ad alto volume provenire da una fonte arbitrariamente condivisa con il pubblico circostante (comitiva di giovinastri in spiaggia, vicino di casa nei giorni di festa, automobile che passa in strada con i finestrini abbassati) nel 99 per cento dei casi si tratta di musica oggettivamente di merda. Una teoria che si basa sull’assunto che la musica oggettivamente di merda è quella che non piace a me, che a spanne costituisce un buon 75 per percento del prodotto sonoro usufruibile attraverso i canali più comuni. La restante fetta – e vi assicuro che a parte qualche eccezione io sono uno che ascolta davvero di tutto – per me costituisce ben più di un argomento di discussione o una materia di studio o un motivo sul quale a cinquant’anni sono ancora qui a cercare gente (che dall’età potrebbero essere miei figli) che pubblica cose nuove e per la quale sono pronto a sacrificare il mio tempo per partecipare a una loro esibizione dal vivo. Non si spiega infatti perché la musica sia una passione che investe le persone (almeno dagli anni cinquanta ad oggi, e mi riferisco al rock e ai suoi derivati) alla pari della politica e della religione, cioè di cose apparentemente ben più importanti e decisive per equilibri che vanno a influenzare l’economia, la società, lo sviluppo e, in genere, la vita di tutti noi. Se si fa eccezione per lo sport, che accende gli animi in modo ancora più primitivo (e anche qui ci sarà qualcuno che avrà studiato a fondo la questione) la musica tra le discipline culturali non ha eguali. Non ci sono infatti fenomeni giovanili e di costume che nascono e vivono per la letteratura, per esempio, o per l’architettura, anche se sarebbe bello, ve l’immaginate? In contrapposizione a punk o metallari gruppi di ragazzi vestiti in un certo modo perché fan del post-modernismo americano o del noir scandinavo. Oppure trucco e abbigliamento diverso per gli amanti della cucina giapponese o del kebab. I ragazzi si sentono molto più fighi se hanno una band rispetto a quando sanno disegnare da dio e dipingono persino. Malgrado ciò, non c’è niente di più svalutato al mondo che la musica, e qui in Italia siamo ai vertici per il modo in cui viene bistrattata. Pensate al motivo per cui, per esempio, una parte dei nostri soldi finisce nell’acquisto di libri che poi ci vengono messi a disposizione sotto forma di prestiti nelle biblioteche pubbliche. Un benefit per me assolutamente indispensabile, considerando il fatto che me ne servo a mani basse. Quello che voglio dire è che diamo per scontato che la lettura sia un’attività che debba essere garantita anche gratuitamente come servizio per la comunità (ed è giusto così) mentre lo studio di uno strumento musicale no. Se per questo anche lo sport o il cinema o il teatro. La riflessione che vi pongo è: quando abbiamo deciso che ci sono arti e discipline più nobili di altre? E in base a cosa è stata stilata questa classifica?

3 pensieri su “del perché siamo pronti a sdegnarci per la musica

  1. “diamo per scontato che la lettura sia un’attività che debba essere garantita anche gratuitamente come servizio per la comunità (ed è giusto così) mentre lo studio di uno strumento musicale no”

    Lo studio di uno strumento musicale porta a suonare, che è l’equivalente di scrivere, non di leggere.

    Inoltre c’è chi ha deciso che a scuola si studi Verdi e non Miles, Manzoni e non Morozzi, Vivaldi e non The Cure, Shakespeare e non Fante.

  2. In effetti ha ragione Speaker. In biblioteca trovi anche la discoteca, gratuitamente fruibile da tutti. Non fanno corsi di scrittura e non insegnano a suonare… Diciamo che costerebbe comunque meno fare corsi di scrittura. Carta e penna sono più economici di chitarre e tastiere

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