il nome della cosa

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Alla gente le cose gliele devi spiegare per bene perché altrimenti non capisce. Per questo certi prodotti hanno tanto successo: hanno nomi azzeccati che trasmettono in pieno la loro essenza. Basta con i nomi evocativi che tanto i consumatori hanno tante balle per la testa con tutte queste informazioni che assorbono su Internet. Non è più tempo per i ragionamenti e le deduzioni, tantomeno per le metafore o i sensi traslati. Come diceva quel filosofo che si fa in terza liceo ciò che è è e non può non essere, ciò che non è non è e non può essere. La vita scorre come un torrente impetuoso verso una foce, non abbiamo bisogno di distogliere l’attenzione dal generale per il particolare perché ogni semplificazione potrebbe essere l’ultima a restare impressa nel nostro intelletto. Ma la realtà delle cose viene in nostro aiuto. C’è una marca di scarpe che si chiama Scarpa. Io che sono un intellettuale di sinistra – cosa che si evince da ogni mio scritto – ne ero all’oscuro perché il mio campo percettivo avverte solo le Clarks e in casi particolari certi modelli di Camper da architetto. C’era un impiegato di quelli che vanno in ufficio con le scarpe da trekking – non vorrei essere il suo dirimpettaio – probabilmente per affrontare con disinvoltura l’altopiano urbano. Saliva le scale della metro davanti a me e sfoggiava appunto un paio di scarpe Scarpa. Sulle scarpe Scarpa c’è scritto proprio così sopra, e secondo me serve così non corri il rischio di sbagliare, al limite ti confondi tra destra e sinistra (che tanto con Renzi l’equivoco è all’ordine del giorno) ma sei sicuro di calzare le scarpe perché hai la più precisa delle istruzioni impressa a caratteri evidenti sulla scarpa Scarpa. Altri esempi di marketing didascalico si trovano per esempio in certi superlativi assoluti come Intimissimo, così sai che sono mutande perché c’è scritto sulla targhetta e anzi, roba più intima di quella davvero non ce n’è, un superlativo relativo o un banale comparativo non sarebbe stato opportuno a proposito di tette e chiappe. Il consumatore non ama i paragoni con il prossimo. Mi viene in mente anche l’Erbolario, sapete tutti che vende prodotti naturali di bellezza ma per certi tamarri come il sottoscritto ha sempre solleticato la fantasia. Chissà: se un giorno un certo tipo d’erba sarà legalizzata busserò alla porta del signor Erbolario per farmi vendere il marchio e cercare di far stare bene la gente come dico io. Avete capito dove voglio andare a parare: mi piacerebbe stimolare la vostra fantasia e inventare nomi di prodotti formulati con la loro natura intrinseca. La pasta Pasta, la colla Colla, le lampadine Lampadine e così via, sempre che si possa e non ci sia una sorta di copyright sulle cose di dominio pubblico. La cosa Cosa, questa sarebbe il massimo.

Post scriptum: resta irrisolto i mistero del Kit Kat versus Kitekat: possibile che nessuno abbia mai querelato l’altro per eccessiva somiglianza di nome? Trattandosi poi di prodotti entrambi del settore alimentare ma per target diversi, ogni volta si corre il rischio di farsi uno snack al pollo e di dare ai gatti dei wafer al cioccolato. Possibile che nessuno si sia mai confuso?

2 pensieri su “il nome della cosa

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