Fede è un figlio unico e i suoi zelanti genitori – gente piuttosto facoltosa – sono stati davvero lungimiranti nel fargli dei ritratti a ogni compleanno da un fotografo serio, la versione costosa delle fototessere, per capirci, che ai tempi di Instagram nessuno tiene più in considerazione. Oggi però Fede vanta una collezione di una ventina di passaggi seriali e documentati della sua vita come se mamma e papà nei primi anni 70 avessero previsto l’invenzione dei social media e di tutto ciò che si può fare con del materiale cosi. Altro che quelli che si fanno la foto nello stesso posto alla stessa ora per anni e poi ne traggono video che diventano virali sul web. Questo conferma secondo me il fatto che non serve spingersi troppo lontano per trovare il passato. È sufficiente muoversi di qualche anno al contrario della direzione verso la quale ci si dirige abitualmente, anzi a dir la verità bastano un paio di mesi, tre settimane, pochi giorni e persino una manciata di secondi e il gioco è fatto. Quando ci siamo accorti che il passato è passato e, appunto, non torna? Lo scarto di tre anni indietro, in foto come quelle di Federico, mette in risalto solo qualche dettaglio. A cinquant’anni la foto della patente, che è una delle peggiori disgrazie dell’umanità considerando che la fai a diciott’anni e poi te la porti dietro fino a quando non te la rubano o la perdi, è un bel salto triplo carpiato con avvitamento in quel buco nero che è la nostra vita così distante che sembra quella di un altro. Sarà per questo che proprio a causa della diffusione di Facebook (che poi secondo me dovrebbe chiamarsi Second Life se non fosse già un marchio registrato) il nostro approccio alla vita è cambiato. Se prima quelli con la testa tra le nuvole erano la minoranza, oggi avere un’esistenza parallela è un comportamento istituzionalizzato se non una vera e propria forma mentis. Io ne ho approfittato e conduco una vita parallela negli ambienti e nelle storie dei libri che leggo, nei film, nella musica che ascolto, tanto tutti sono presi con le loro gif animate e a me e quelli come me nessuno dà nemmeno retta. Se mi vedete assorto non c’è nessuna differenza con quelli che stanno stalkerando le ragazze o che si stanno inventando esperienze da condividere perché sotto sotto fanno una vita di merda. Magari poi anche la mia non è da meno, solo che chi legge da sempre si sente superiore a chi non legge, forse perché a differenza degli status di Facebook altrui o delle foto con la battuta incorporata, nel caso dei libri si fa fatica di arrivare alla fine, occorre impegnarsi un po’. Poi il bello della lettura è che ci si può anche distrarre durante, a volte nel mezzo di un romanzo prendi una strada secondaria con i pensieri e ti ritrovi mezz’ora dopo ad aver letto meccanicamente pagine e pagine e invece con la testa sei finito da tutt’altra parte. Anche quando scrivi: parti dalle foto di Federico e poi non sai come va a finire. Anche questo fa parte della virtualizzazione che ti permette l’uso del cervello non elettronico. Data una piattaforma fisica – che è il nostro corpo, diciamo l’hardware – sopra ci fai girare quello che vuoi e non importa in quale parte della testa queste cose funzionano perché comunque funzionano che è una meraviglia. Per non parlare di quando leggi e ti addormenti, a me a volte capita e quando mi sveglio con il libro sul petto è sempre una bella sorpresa.
Giusto per curiosità, visto che i tuoi post prendono direzioni inaspettate, i titoli li scrivi alla fine? Sarebbe anche un bel titolo a pensarci: i titoli li scrivo alla fine
sì, quasi sempre li scrivo alla fine, e grazie per l’idea di post