i nostri figli del potere dirompente del rock non sanno che farsene

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Le tragiche recenti vicende del Bataclan hanno riportato alla ribalta il tema del rock come espressione della rottura con la tradizione, anche se l’interpretazione che ne è stata data, dal mio punto di vista, è stata un po’ forzata. Il radicalismo religioso che fa a brandelli corpi di giovani solo perché rei di aver partecipato a un concerto. Sono certo che le religioni in genere non siano il massimo dal punto di vista dell’applicazione dei valori dell’illuminismo, mi sembra scontato però che oggi per trovare assembramenti numerosi di gente vulnerabile da far saltare in aria non ci sia molta scelta se non lo sport e, appunto, lo spettacolo.

Non nego però di essere in prima linea tra gli idealisti affascinati da questa visione romantica del rock, riassumibile in un celebre passaggio di un testo degli Area che dice “il mio mitra è un contrabbasso che ti spara sulla faccia ciò che penso della vita, con il suono delle dita si combatte una battaglia che ti porta sulle strade della gente che sa amare”. In poche parole ribellione, facciamo l’amore e non la guerra e con il rock le possibilità di fare l’amore aumentano a dismisura rispetto a qualunque altro mestiere ordinario come il ragioniere, suoniamo per combattere il sistema con la forza delle idee eccetera. Un testo e una visione molto anni settanta, e credo che nessuno dei ragazzi protagonisti involontari di quella carneficina, ma anche quelli protagonisti volontari che l’hanno generata, se ne facciano nulla delle encomiabili intenzioni di Demetrio Stratos.

È bello comunque sapere che in qualche cultura primitiva di ritorno (mi riferisco all’Islam visto dagli occhi di un occidentale abituato alla secolarizzazione e al laicismo) ci siano ancora giudizi latenti sulla musica giovane come una forma di trasgressione tout court verso la tradizione delle civiltà che l’hanno preceduta, che però i nostri nonni con i figli beat risolvevano a sganassoni, i nostri padri con i figli punk vergognandosene in pubblico (questo è capitato a me), quelli dell’ISIS con le cinture al tritolo e noi che invece saremmo pronti a comprendere le ragioni di una rottura abbiamo figli che del potere dirompente del rock non sanno che farsene.

È bene che chi vuole colpire i miscredenti peccatori sappia che imbracciare una chitarra elettrica collegata a un distorsore non ha più lo stesso valore sociologico e la portata di quando lo facevano Elvis, i Beatles e i Rolling Stones, gli Area, i Clash. Oggi siamo ampiamente più consapevoli di quanto sia innocuo il rock. Persino i messaggi satanici registrati al contrario è stato appurato essere privi di conseguenze in ottica di una redenzione, le creste ce li hanno cani e porci, nessuno crede più alla cattiveria del death metal, il punk lo ascoltano pure i cinquantenni come me, le parolacce sono il registro ordinario delle conversazioni sui social e in tv e tra i ragazzini delle elementari su whatsapp.

Pensate quindi a come ci risultano ingenui certi espedienti che si usavano una volta per dimostrare a tutti che il rock poteva scardinare il mondo, quando invece poi è stata sufficiente una manciata di bit per devitalizzarlo e ridicolizzarne la matrice combattiva. Ascoltavo uno dei pezzi di quelli che quando mi chiedono a bruciapelo di mettere una canzone trasgressiva, è costantemente compresa tra le prime cinque scelte, e mi riferisco a “California uber alles” dei Dead Kennedys. L’intervallo semitonale del riff era una matrice compositiva standard da utilizzare come dimostrazione che l’armonia classica o comunque tradizionale era una merda e che mettendo in sequenza accordi così ravvicinati il punk era pronto a destabilizzare le regole della musica come l’avevamo sempre intesa.

Ora, dopo decenni di canzoni sempre più sperimentali, di cultura dissacratoria, di nichilismo sociale, di cose che hanno distrutto tutto e il contrario di tutto senza più costruire nulla, ascolto California uber alles e mi rendo conto che in fondo quella sequenza di accordi al massimo ha la stessa portata tragressiva di “Espana Canì”, d’altronde gli intervalli di semitono nella musica non li ha certo inventati Jello Biafra. (Seguono rispettivamente i video di “California uber alles” ed “Espana Canì” e ditemi se non ho ragione)



3 pensieri su “i nostri figli del potere dirompente del rock non sanno che farsene

  1. speakermuto

    Ottimo il tag degli Afterhour. Non li avrei mai ascoltati ma mia moglie dice che le piacciono così ora conosco un ulteriore esemplare di ossimoro: l’alternativo di successo.

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