Il terrorismo è quella roba che non ti aspetti che succeda proprio lì e a te. Questo genera psicosi e ti fa riflettere sulle piccole cose che fai quotidianamente perché potrebbero essere letali, e quando appunto questo comportamento si estende su grande scala ecco che il terrorismo ha vinto la sua battaglia ma forse anche la sua guerra. Banche, piazze durante raduni, stazioni, treni e aerei. E poi aerei contro grattacieli, maratone, redazioni, persino posti a cazzo come un ristorante cambogiano fino a un concerto di una band off come gli EODM. Il terrorismo funziona così: devi fare una cosa e prima di farla hai una sensazione che forse è meglio non farla quindi ne fai un’altra ed è lì che ti sei fregato perché il terrorismo è talmente subdolo che non sai se alla fine ti prende nella cosa che devi fare o in quella che fai per non fare quella che devi fare. Prendi la metro perché non vuoi prendere l’autobus perché prima volevi prendere la metro e hai preso l’autobus perché avevi paura quando scopri che sarebbe stato meglio viaggiare in superficie. A meno che non hai preso un mezzo di superficie per evitare il rischio di un attentato in metropolitana e poi ecco il primo folle imbottito di esplosivo che annulla in un colpo solo una moltitudine di biglietti validi che qualunque controllore così tutti insieme non li ha mai visti. La morale è che non c’è niente di sicuro e in momenti di terrorismo dichiarato ce n’è ancora meno. Molti dei nostri nonni, durante la seconda guerra mondiale, sono sfollati lontano dalle grandi città per rifugiarsi altrove proprio a causa dei bombardamenti alleati. In qualsiasi casa in collina, per dirla alla Pavese, si era più al sicuro che in una grande città facile bersaglio dell’aviazione americana e inglese. In questa guerriglia che non ha un vero campo di combattimento come il terrorismo, e noi in Italia lo sappiamo bene, noi quindi dovremmo sfollare via da noi stessi, probabilmente, e rifugiarci in qualche altro corpo animale o meno in grado di tenerci per un po’, almeno fino a quando le cose non si normalizzano. Così facendo lasceremmo i nostri involucri alla mercé del nemico e potremmo metterci al riparo nel corpo di qualche insospettabile che non si è sputtanato con qualche boutade anti-loro. Sta di fatto che più ci disperdiamo più vulnerabile sarà il nostro quartiere. Siete sicuri che nessuno potrà venire a stanarci casa per casa, cioè suonano alla porta, tu apri e ti trovi due incappucciati che ti fanno secco all’istante? Meglio di no. Il terrorismo usa il campanello, il citofono, trova il tuo numero di cellulare e controlla i tuoi movimenti. Te lo puoi ritrovare in un barattolo della tua crema preferita sotto forma di qualcosa di nocivo. Sotto il casco della parrucchiera che fa anche tagli da uomo ed è per questo che vai abitualmente lì. Nei componenti di un mobile Ikea, in uno studio televisivo, all’altro capo del telefono mentre parli con un’operatore call center, in una schedina del totocalcio, nelle tasche cucite di quando compri una giacca nuova e nel garage del tuo insospettabile vicino di casa. Si vive così, con la puzza del terrorismo sui vestiti quando li ritiri dallo stendino sul balcone e con il suo retrogusto quando ti corichi, anche se hai fatto gli sciacqui con il colluttorio. Il terrore è una forma mentis, mettiamoci l’anima in pace. Anzi no, in guerra.
Io sto cercando davvero di metterla in pace, l’anima. Perché fino a che sono viva, preferisco vivere. Il resto, tanto, non posso comunque evitarlo. ma evitare di lasciar morire la mia anima prima del tempo, quello sì, posso evitarlo.
dobbiamo imparare a preservarla nelle stesse piccole cose in cui vogliono che crediamo ci sia del pericolo
Sì, credo anch’io