bella non ho mica vent’anni, ne ho molti di più, e questo vuol dire, capirai, responsabilità

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La fregatura si delinea sempre più nitidamente ogni giorno che passa. Una volta c’era infatti il fattore carriera che, con l’aumentare dell’età, ti sollevava gradualmente dalle rotture di maroni dell’operatività, quella più di basso livello. Cresceva cioè l’anzianità – nella vita e nel lavoro, anzi, nel lavoro e nella vita – e man mano si trascorreva sempre più tempo dietro le quinte a progettare, dirigere, demandare, controllare ma senza essere in prima linea, sul campo. Il che non è detto che comportasse responsabilità in numero direttamente proporzionale agli inverni di permanenza in azienda sul gobbone. Anzi, diventavi canuto, ispiravi saggezza, trasmettevi rispetto, fiducia e anche indulgenza: un simpatico vecchietto seduto ancora per poco a una scrivania in grado di dispensare consigli ed esperienza ma prossimo al ritiro in pensione, quindi se si dimentica qualcosa non bisogna arrabbiarsi, è l’età. Per noi invece gli unici valori che crescono sono quelli della pressione in giornate di stress. Osservando i 156 di massima sullo sfigmomanometro siamo sempre più convinti che alle soglie dei cinquanta certe mansioni che più o meno sono le stesse di quando abbiamo iniziato a venticinque anni non fanno proprio più per noi. Non abbiamo la stessa resistenza alla tensione che poi è la componente principale del nostro lavoro sul cliente e di ciò che produciamo se, come me, lavorate nel marketing e comunicazione digitale che poi è altro non è che l’evoluzione di ciò che una volta molto più romanticamente si chiamava pubblicità. Ma poi sappiamo tutti quello che è successo. I soldi sono finiti e lo spazio per fare carriera e per mettere i vecchietti come il sottoscritto a dirigere e controllare gli sbarbati ci è stato usurpato dalla crisi, con il risultato che facciamo le identiche cose di quando abbiamo iniziato. Con strumenti diversi, ma nella sostanza non c’è alcuna differenza. Anzi, mi permetto di osservare che gli strumenti consentono una sempre maggiore efficienza e risultati in minor tempo, e con la scusa che si fa meno fatica ci è richiesta una velocità superiore rispetto a quando abbiamo iniziato. Ma, ripeto, non abbiamo più trent’anni. Io per esempio sono cambiato, e ci mancherebbe. Ci vedo di meno, porto gli occhiali, mi alzo il doppio delle volte per fare la pipì, ho una figlia adolescente che occupa gran parte dei miei pensieri, dormo male perché le preoccupazioni si coricano insieme a me, ho la mamma anziana, sono stressato perché pensavo che a cinquant’anni avrei potuto iniziare a tirare i remi in barca, le continue distrazioni del lavoro digitale hanno trasformato il mio cervello in una specie di flipper e così via. Probabilmente tra tre o quattro stadi evolutivi saremo pronti ad affrontare un mondo del lavoro così strutturato da anziani. Al momento, noi che siamo i primi siamo abbastanza in difficoltà. E se mi leggete dall’alto dei vostri trent’anni o molti di meno, preparatevi perché probabilmente sarà sempre peggio.

12 pensieri su “bella non ho mica vent’anni, ne ho molti di più, e questo vuol dire, capirai, responsabilità

  1. Noi abbiamo un problema generazionale che i trentenni non hanno: le nostre aspettativa di vita e lavoro si basavano su quelle dei nostri genitori che, cinquantenni, avevano una vita stabile e fatto la carriera possibile (commisurata al lavoro ovvianente). Puntavano poi alla pensione. Pensavamo sarebbe stato così anche per noi

  2. Mi associo. Aggiungo al disagio anche le vampate per il repentino calo di estrogeni con ipersudorazioni notturne e diurne. E con l’obbligo del sorriso!!!

  3. Roberto

    Allora sono in buona compagnia…48 anni…pendolare….figlie di 13 e 9 anni…lavoro operativo…sembra il mio identikit…adesso mi misuro la pressione…
    Un caro saluto
    Roberto

  4. E invece noi abbiamo i genitori cinquantenni disoccupati o in cassa integrazione o costretti a fare lavori al di sotto delle loro possibilità. Fortuna i nonni!!

  5. La seconda che hai detto (anche se sull'”affascinante” non mi pronuncio). Sono contenta di non chiamarmi Roberta, sai che storia sarebbe ad ogni presentazione! Così invece passa almeno un po’ di tempo prima che se ne accorgano.

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