Ero in ansia perché avevo in programma una trasferta di lavoro. A Busto Arsizio. “Copriti”, si è levata una voce famigliare dai commenti di risposta del mio pubblico dei socialini. Ma non era quello l’unico dei segnali premonitori. Per adeguarmi a certi trend dell’hipsteria cosmica, avevo iniziato a seguire su Instagram un paio di pornostar perché riconosciute universalmente dal panorama underground come dei must-have, sapete come funziona. Certe cose sono talmente estreme per certi stereotipi da una parte che fanno il giro e diventano moda per quelli all’opposto, è successo per Bombolo, gli 883 e persino per i reality show solo perché c’è il vizio di commentarli in diretta su Twitter. Comunque stavo affrontando il lungo viaggio di trenta minuti in direzione di Busto Arsizio e sentivo i segnali a ripetizione sullo smartcoso, quegli effetti sonori che ti possono portare dalle stelle alle stalle avvisandoti che stai avendo successo o, agli antipodi, che c’è il tuo responsabile che ti deve cazziare per qualcosa. È il bello del calderone dell’Internet, in cui vita privata e professionale fanno comunella per metterti il più possibile nella bratta, come si dice a Genova per dire nella melma. Comunque tutta questa sequenza di segnali poi ho scoperto che erano pornostar di seconda o terza categoria, quelle che altrove chiameremmo in altro modo, che dichiaravano di volermi seguire su Instagram come se il fatto che fossi un intellettuale che apprezza l’approccio di gente come Valentina Nappi o Stoya ai socialcosi venisse frainteso come un desiderio di soddisfacimento del proprio autoerotismo qualunque. Ma il problema di consultare il telefono mentre guidi è all’ordine del giorno sulle pagine di cronaca dei quotidani, gente che spippola su Facebook e poi si stampa sui veicoli in coda al casello. Bene, in quel frangente io per poco non ho centrato un carro attrezzi con targa rumena che si inseriva – pur con un senso del codice della strada arbitrario – nella coda a cui ormai mi ero assuefatto e arreso, alle porte di Milano. Un carro attrezzi rumeno che trasportava una berlina incidentata e senza targa, ma quasi certamente rumena, con tanto di autista rumeno che mi ha guardato alquanto contrariato malgrado per tutti fosse venerdì pomeriggio. Rumeni o meno (stavo per scrivere rumeni che menano) di questi tempi in macchina è meglio starsene belli schisci e umili al proprio posto, dietro il volante. Sorridere e far passare, tanto, per qualche metro di strada in più o in meno, non cambia nulla, questo a prescindere dal fatto che la presenza di pornostar su Instagram distrae mentre sei al volante.