Non stupisce quindi che il prodotto della musica e di conseguenza la musica in sé abbia toccato il fondo di un processo di svalutazione senza precedenti, come certo denaro corrente di alcuni posti poverissimi di cui ci vogliono pacchi e pacchi di mazzette per cambiare anche solo una moneta di quelle che in occidente usiamo per liberare e spingere il carrello della spesa. Ma la metafora più azzeccata, per questo processo, è la cosa in sé: guardiamo stipati nei nostri tera di memoria quanti pezzi conserviamo e qual è il loro valore effettivo se è così facile attingervi per ripagare una qualsiasi delle nostre emozioni. È sufficiente raccogliere virtualmente una manciata di questo equivalente delle perline colorate per renderci conto di quanto siamo poveri, oggi, da questo punto di vista. E non certo per la qualità di ogni singolo pezzo. Piuttosto è la quantità a disposizione a determinare questo regime di inflazione artistica che ormai si protrae nella nostra società da almeno una decina d’anni. Nessuno è in grado di indicarne l’elemento scatenante, credo che attribuire la colpa di questo fenomeno esclusivamente alla digitalizzazione sia riduttivo. O meglio: il canale che si è aperto ha consentito la tracimazione e la distribuzione di massa di questi beni virtuali, ma il pubblico non ha percepito davvero la reale ricchezza che l’accesso indistinto a questi beni poteva generare. Di fronte all’abbondanza i più si sono domandati quale poteva essere l’utilità di riempirsi l’esistenza di canzoni in grado di suscitare l’entusiasmo così soggettivamente, considerando la proliferazione di materia prima. Data la sovraesposizione alla musica oggi sono finiti i tempi dell’identificazione di gruppi sociali con i generi musicali. Non voglio dire che non esista più il fanatismo delle pop star, anzi esso è amplificato dalla tv e dai media ma indipendentemente dalla componente musicale, oggi assolutamente secondaria. Se prima band e cantanti riuscivano a costituire il motivo scatenante per intere generazioni, oggi sono state sostituite nell’immaginario pop da altre icone, e se fate una chiacchierata – rigorosamente via messaggistica istantanea – con qualche adolescente di oggi capirete che cosa vi sto dicendo. Quindi visti da qui, tutti noi per i quali il genere musicale preferito costituiva orgogliosamente un motivo di appartenenza, oggi in cui l’appartenenza non esiste più (o se esiste può far solo che tenerezza) a causa della parcellizzazione causata dai social network, facciamo abbastanza ridere, e considerando che già allora facevamo ridere i nostri fratelli più grandi per i quali invece l’elemento solidificante era la politica, insomma nell’insieme possiamo considerare la nostra generazione fatta di punk, di dark, di metallari eccetera un vero e proprio fallimento storico.