La recrudescenza del fenomeno di certe band che proprio non ne vogliono sapere di cambiare mestiere e che, di riffa o di raffa, tra uno scioglimento o uno che se ne va e poi ritorna comunque continuano a sformare dischi con più o meno assiduità da trenta, quaranta e, ma mi pare sia un caso unico, cinquant’anni, ha anche i suoi lati positivi. Caterina e Matteo di anni ne hanno poco meno di venti e si sono conosciuti sotto il palco di un concerto di un gruppo che, quando sono nati, era già in piena parabola discendente. Matteo è un fan fidelizzatissimo e con lo stesso atteggiamento nerd che contraddistingue quelli della sua generazione. Ha tutti i cd ma poi si è ricomprato tutti i vinili e, se la tecnologia glielo consentisse, acquisterebbe anche le cassette originali. Alimenta un canale su youtube in cui ha raccolto tutte le testimonianze video disponibili in rete, partecipa attivamente a forum e alle numerosissime pagine Facebook dei tipi come lui e così via. Anche Caterina è sul pezzo, non con questa metodicità ma con analoga serietà. Conosce molti dei testi delle loro canzoni a memoria, non è una sprovveduta in fatto di aneddoti sui membri della band e non è certo la prima volta che spende fior di quattrini per un loro concerto.
Caterina e Matteo vivono a una ventina di km di distanza e non si erano mai incontrati fino a quando, davanti alle transenne oltre le quali accedono solo gli addetti alla sicurezza, i fotografi, gli spettatori che si sentono male per il caldo e i paraculi, sono stati compressi dalla ressa e si sono trovati appiccicati in una posizione così intima che sarebbe stato un vero peccato non sfruttare. La loro – diciamo – storia d’amore è ancora acerba e quindi c’è ben poco da scrivere, ma c’è di più. Parlando delle reciproche vite viene fuori che la mamma di Matteo e il papà di Caterina erano amici ai tempi dell’università. Il fatto che entrambi amassero lo stesso complesso che ora è seguito dai figli è un dettaglio che potete considerare un’ovvietà, d’altronde da qualcuno dovevano pur prendere. Ma il bello è che i due genitori ai tempi avessero flirtato senza concludere, e se ci aggiungete che oggi sono separati e liberi sentimentalmente potete immaginare come va a finire la storia.
Questa cosa che unisce musiche, destini e passioni e le convoglia alla faccia delle barbarie e degli scempi che il tempo esercita sulle persone la trovo veramente poetica e, per dirvi quanto, sappiate che ho rinunciato a una metafora più prosaica per rappresentare il concetto. Mi stavo immaginando infatti questi fattori (musiche, destini e passioni) come cavi che, per puro scopo protettivo, vengono inseriti in canaline per tutto il percorso della storia fino a destinazione, come si fa per i cablaggi degli impianti e per fare ordine nelle connessioni, ma poi ho pensato che così avrei rovinato tutto. Faccio quindi solo un cenno a una cosa in tema che è capitata anche a me. Lo scorso sabato mia figlia ha voluto, come calzature per affrontare la stagione a venire, il suo primo paio di anfibi neri, e vi giuro che né mia moglie né il sottoscritto ne abbiamo caldeggiato la scelta. Se ci aggiungete il fatto che il suo look sta virando sempre più verso il nero potete avere un assaggio del mio stato d’animo. Da una parte c’è il cieco orgoglio di aver trasferito certe caratteristiche (completamente inutili per una realizzazione personale adulta, sia chiaro) senza il minimo sforzo educativo, voglio dire non è che a cinquant’anni vado in giro ancora conciato come Robert Smith, quindi si tratta di un’esigenza di espressione della sua personalità tutto sommato genuina. Dall’altra c’è il timore che poi questo vezzo nell’abbigliamento alla lunga non solo porti alla nausea del nero (a me era successo proprio questo) ma complichi anche i criteri di apprezzamento cromatico e non solo per quel che riguarda pantaloni o giacche o scarpe. Ma ogni tanto tutti noi subiamo qualche rigurgito che chissà da dove viene. Di questi tempi, in cui Dr. Martens alte e basse e persino le Creeper sono tornate prepotentemente alla ribalta (pur avulse del significato culturale che avevano quando le indossavamo noi), vederne il tripudio in tutte le vetrine dei negozi di scarpe mi ha fatto venire un certo languorino.
Noi qui si vive ancora con una ottenne in piena stagione di colori e da me non ha preso che ero piuttosto triste e cupa a colori… A parte quel terribile momento degli anni ’80 in cui si indossavano maglioni fosforescenti coordinati coi calzettoni. Ma io ero “tamarra” forte