Se volessi prendere questo argomento alla lontana vi ricorderei che la ciclicità è un aspetto fondamentale della nostra natura, probabilmente – ma non sono io il primo a dirlo – per via del giorno e la notte, poi le stagioni e gli anni e persino la vita e la morte ma che è già un ciclo di cui faremmo volentieri a meno. Possiamo dire però che la reiterazione è ciò che ci dà più sicurezza di ogni altra cosa. Siamo qui a rimandare a domani, al mese prossimo, all’estate del 2016 e così via proprio perché non c’è nulla di così certo come il sole che sorge eccetera eccetera. (Pausa tocca-ferro).
Al contrario le cose che iniziano e cambiano in continuazione sono quelle che ci fanno sentire dei fighi assoluti e anticonformisti ma alla lunga perché fare delle cose belle una volta sola e poi non ripeterle più per fare altre cose belle il giorno dopo? Mi seguite? Si tratta di un corso che rende irrequieti perché non sai mai cosa c’è dopo. Questa è filosofia? No, solo che pensavo che le canzonette ma anche certi canti tribali e i mantra religiosi vanno avanti a iosa ripetendo pattern fino a tirarci scemi ma non perché gli autori ci credono scemi e per farci capire un concetto pensano di ripetercelo a iosa. No, non funziona così. Un manciata regolare di battute, con la relativa sequenza di accordi, ritmo, e tutti gli orpelli sonori che volete, inizia e proprio nel suo svolgersi cattura la nostra attenzione perché affine al nostro gusto, quindi si avvia alla chiusura e già noi cambiamo umore perché temiamo che quella bellezza possa finire e invece no.
L’astuzia del compositore sta proprio nel ripeterla in un numero di volte sufficiente a soddisfare la voglia di risentirla ma non in eccesso in modo da non rompere i maroni. Quindi è giusto interrompere a un certo punto una parte musicale che piace così fai venire all’ascoltatore la dipendenza e la voglia di stare lì fermo ad aspettare che inizi. Un processo proustiano, forse, ma cercate di non sopravvalutarmi.
Pensavo a questo concetto perché c’è tutto un filone di musica che viene definito colta. La musica classica ed il jazz, per esempio. Vi risulta, corretto? Bene, perché è colta? Perché per ascoltarla occorre mettere un filtro alla pancia, che è quella che borbotta se ha fame di ritornello dopo otto strofe, e agire con la testa, con la mente, con l’intelletto ed essere pronti a quella cascata di divenire che dalla prima nota in poi è tutto un diversificarsi, un separarsi, un variare, un improvvisare con frasi uniche che non si ripeteranno mai più. Questo ci trasmette insicurezza e solo la razionalità che ci può imporre la convenzione culturale o il non aver paura del vuoto che ci può essere dopo una curva di una strada che non conosciamo, ci permette di arrivare fino alla fine. Quindi la differenza con il pop sta tutta qui? All’inizio ero consapevole di dove volessi arrivare, poi tutto questo cambiare discorso boh, non ricordo più che cosa volevo dire.
Ma che bello questo post, è proprio un po’ come il jazz o la musica classica, che sembra richiedere razionalità, e poi invece richiede soprattutto il “non aver paura del vuoto che ci può essere dopo una curva di una strada che non conosciamo”, pensieri ordinati e scompigliati allo stesso tempo, non so dirlo meglio di così, è come se avessi dato voce a dei pensieri sparsi che io sento, senza rierdinarli troppo, ma abbastanza per poterli riconoscere, mantenendo quel tanto di irrazionale della bellezza delle cose che iniziano e poi cambiano e che comunque partono in un modo e non è detto poi che arrivino dove pensavi 🙂
il bello di questo commento è che, oltre a essere di un’intelligenza sopraffina, mi ha aiutato a capire quello che ho scritto io 🙂 quindi doppiamente grazie
oddio! 😀