È andata che volendo oggi c’è tutta un’offerta di considerazioni dovuta ai più diffusi sistemi di microblogging che conosciamo. C’è da chiedersi però che ne sarebbe stato dei nostri status – mi si perdoni il gioco di parole – se anziché Internet e i socialcosi la consumerizzazione che ci ha portato a essere tutti degli emeriti opinion leader della nostra manciata di amichetti virtuali (e opinion leader della minchia, mi si perdoni questa volta invece la prosaicità) per esempio non avesse trovato diffusione tramite radio. Ve lo immaginate? La tecnologia si sviluppa in modo che chiunque può metter su gratuitamente e con il minimo sbattimento una emittente da cui trasmettere musica e, appunto, rilasciare le proprie considerazioni.
Invece è andata come è andata, con il risultato che trascorriamo la vita a divulgare considerazioni per iscritto di cui nessuno sa che farsene. Cose che una volta restavano custodite al riparo dal pubblico ludibrio nella nostra testa e che oggi vanno ad accorparsi in una infinita narrazione dei sentimenti più poveri e semplici, nel migliore dei casi. Perché nel peggiore sono pure presuntuosi e ignoranti e, di conseguenza, potenzialmente dannosi.
Io sono in prima fila nel mercato delle considerazioni, anzi posso definire il mio un vero e proprio supermercato delle considerazioni se non un centro commerciale con una scelta di banalità pensate e pubblicate senza confronti. Sono un vero e proprio grossista delle considerazioni. Qualunque cosa mi viene in mente in qualsiasi momento, anche quando sono al cesso che so che ci avrete pensato subito per via della canzone avvelenata di quel celebre cantautore, mentre corro, mentre mangio, quando leggo qualcosa che mi fa venire in mente qualcos’altro ecco che mi si sforna una considerazione calda calda e pronta alla pubblica condivisione.
Che ce ne faremo poi di tutta questa merce? In cosa si sta traducendo il surplus di considerazioni? C’è un mercato parallelo, un riciclo, un’ipotesi di riconvertibilità, una riabilitazione prevista per i considerazionatori più compulsivi, una exit strategy per riportare l’umanità a una dimensione più umile, un sistema di filtri e silenziatori e firewalling in grado di bloccare la visualizzazione delle considerazioni, un pianeta ancora da scoprire in cui potremo stoccare tutte le considerazioni che qui da noi causano l’effetto serra, aumentano il buco nell’ozono, generano rischi di autismo più dei vaccini, ritardano il rientro dei nostri marò.
Oppure, al contrario, potremmo iniziare a mettere le nostre considerazioni anche nel lavoro che svolgiamo. Io potrei cominciare a porre grandi questioni esistenziali nei testi marketing che preparo quotidianamente, aprire la comunicazione aziendale ad argomenti che non c’entrano un cazzo, fare persino ironia in contesti business. Magari, nei decenni a venire, potrei essere ricordato come un pioniere: questa sì che è un’ipotesi da tenere in considerazione.
Personalemte ho iniziato a ironizzare in contesti non propriamente indicati (con tiratina d’orecchie del mio capo che mi ha richiamato a un atteggiamento più professionale).
Sono sincero: mi sono divertito, se non altro per aver creato un (minimo di) imbarazzo e, soprattutto, per aver ironicamente (e poco professionalmente) sottolineato alcune incongruenze nell’applicazione della metodologia di lavoro (importata dagli states) che abbiamo adottato in ufficio.
secondo me è un approccio che paga perché denota intelligenza da ambo le parti