C’è una scena di “We are the best“, che è un film delizioso e se vi capita guardatelo, che si svolge nel corso di una lezione di educazione fisica della classe di Bobo e Klara (le due protagoniste amiche per la pelle per tre quarti della storia). Le ragazze e i ragazzi sono impegnati in una partita di basket. Bobo è in panchina quando viene chiamata dal prof a entrare in campo in sostituzione di un compagno di classe ma, appena ricevuta la palla, la passa a Klara che milita però nella squadra avversaria consentendole di fare canestro. Bobo e Klara sono due giovanissime punkettone anarchiche e non possono accettare le regole di un gioco in cui due compagini si fronteggiano. Se l’obiettivo è fare canestro, che importa chi lo fa, verso quale canestro viene lanciata la palla, in che squadra gioca chi ha realizzato i due punti e chi ha passato la palla decisiva?
Un discorso che non fa una piega e io, devo confessare, mi trovo abbastanza d’accordo. Uno dei motivi per i quali odio lo sport (come recita il testo della canzone composta da Bobo e Klara per la loro punk band) è che nelle partite e nelle competizioni c’è una squadra o un team o un atleta che vince e uno o più avversari che perdono o arrivano sotto in classifica. Un modello che è sicuramente il riflesso della nostra società e che a nostra volta cerchiamo di replicare nella vita di tutti i giorni, al lavoro ma anche a casa, quando corriamo per sottrarre l’ascensore a qualcuno del palazzo quando sentiamo il portone sotto che si chiude o dei passi su uno dei pianerottoli e così via. Per non parlare di chi gioisce per gli atleti sconfitti. Odio lo sport e odio il calcio eppure non capisco cosa ci sia da festeggiare se vince il Barcellona e non la Juve. Ho visto scene davanti a certi televisori a quarantotto pollici che voi apostoli del fair play per non parlare di voialtri nemici del business sportivo non potete nemmeno immaginare.
Ma il mio non è un odio verso tutti gli sport. Per lavoro mi sono trovato in mezzo a donne e uomini di dimensioni mai viste, tutti portabandiera delle loro nazioni di appartenenza ai mondiali di canottaggio al Lago di Varese che si svolge in questi giorni. A parte certe muscolature mai viste in natura e diametri di coscia maschili ampi tanto quanto il mio torace, ho passato la giornata a osservare la sobrietà di sconosciuti campioni da ogni paese mentre si portavano la loro canoa in spalla prima e dopo le gare. Provate a immaginare l’equivalente nei calciatori italiani e vediamo che quadretto ne esce.
Un altro fattore che separa anni luce il calcio dagli sport minori, per esempio il volley, è l’impossibilità che dal calcio e dall’ambiente dei calciatori emerga un personaggio come Andrea Lucchetta. Un nazionale di pallavolo che si mette a fare il commentatore sportivo in quel modo. Ricordo analoghi esperimenti nel calcio, parlo dei tempi di Agroppi e Zenga alla tv, ma non era certo la stessa cosa.
Poi lo sapete cosa succede alla fine degli incontri volley femminile di serie A1? Io lo so perché per compiacere mia figlia un paio di volte siamo andati a fare magari non proprio i tifosi ma gli spettatori comunque piuttosto coinvolti. Alla fine delle partite le giocatrici stanno nel campo invaso da tutte le ragazzine delle società che vanno a vedere gli incontri della massima serie e si fermano per una mezz’ora buona a concedersi con selfie e autografi su palloni comprati dai genitori per l’occasione. E a bordo campo resta anche Andrea Lucchetta che era lì prima a fare una delle sue stralunate telecronache e che non è da meno in quanto a cortesia e disponibilità con il pubblico. Ecco, Lucchetta non è certo un anarchico e non lo è stato ai tempi della sua nazionale pigliatutto, e non credo nemmeno che sia possibile trovare due come Bobo o Klara in qualche selezione sportiva con qualche aspirazione di vittoria. Per una volta, usare il loro modello per raffreddare gli animi di un popolo come il nostro che non vive d’altro con un po’ di sana cialtronaggine calcistica potrebbe essere la strada giusta.
Hai tempi dei miei 14 anni più o meno, militavo come pessima alzatrice in una squadra di quartiere. La nostra allenatrice era la ragazze, poi moglie, di Lucchetta. Quando lei non poteva venire mandava lui, già campione, che con modesti e tanta simpatia ci allenava a ricevere le sue (moderate) schiacciate, con la testa che gli sforava l’altezza della nostra rete. Per noi era una grande emozione e anche un insegnamento di sportività e, appunto, modestia. Poi non escludo che sia legato al suo carattere più che alla disciplina sportiva, ma ho qualche dubbio
Il problema è che in Italia il calcio non è uno sport: è l’equivalente dei giochi gladiatori dell’antica Roma, con l’unica differenza che là chi veniva sconfitto aveva un buon motivo per piangere.
P.S.: devo però confessare che la mitologia del calcio e dello sport in generale è un mio guilty pleasure.
P.P.S.: mito Lucchetta!
secondo me il bello dello sport è fare sport, ma anche la competizione
è una specie di sublimazione della guerra, della lotta e dovrebbe sempre finire con i complimenti all’avversario
tu pensa che palle veder giocare a tennis o a basket due avversari o due squadre che cercano di non vincere…
o due lanciatori di giavellotto che non si sforzano per non far sfigurare gli avversari, ma anche giocare a monopoli senza impegnarsi… non sarebbe una competizione
una sana e onesta competizione non è la legge della jungla, è il contrario: lasciare la legge della jungla (con molte regole) confinata in un ambito ludico
personalmente odio il calcio (innanzitutto perché è palloso e poi) per i tifosi. a tutti i livelli, anche nelle partite dei bambini i tifosi sono orribili
mi piace il basket, ma non seguo il campionato italiano né l’eurolega per la stessa ragione: i tifosi, ormai identici a quelli del calcio
quindi seguo il basket nba perché sugli spalti puoi vedere un tifoso mischiato con la marea dei tifosi della squadra di casa: nessuno lo sfotte o lo minaccia. anzi: ci sono in questo momento in corso gli europei femminili di basket. il basket un po’ meno spettacolare (meno schiacciate) e meno testosteronico e più giocato e altrettanto appassionante
uh che bella storia. Ma come si sono conosciuti Lucchetta e la tua allenatrice?
chissà perché il calcio ha preso così tanto qui in Italia. C’è una letteratura in merito?
Ciao Marcello, è chiaro che la mia è una provocazione, anch’io penso che lo sport senza nessuno che vince sarebbe noioso. La vita è così, e dici bene che lo sport ne è una sublimazione. Mi sono solo permesso di fare una riflessione su un paradosso, stimolato dalla scene del film che ho descritto all’inizio. Un bell’esempio a sostegno della tua teoria credo che sia il rugby. Seguivo il basket da ragazzo, ma ora mi sono impallato con il volley, soprattutto femminile. La mancanza di contatto fisico secondo me costituisce un ottimo compromesso per chi, come me, ha l’ansia da sfida diretta.
Non che io sappia.
Suppongo sul campo, non gliel’ho mai chiesto