Ieri sera si è consumato il dramma dell’anno, ovvero il decesso del dottor Derek Shepherd vittima della strada, come tanti del resto. Ho scritto ieri perché a casa mia Grey’s Anatomy si vede con un giorno in differita, di martedì, facile immaginare il motivo. Comunque ieri è mancato anche il papà di un’amica di mia figlia, un uomo di una manciata di anni più vecchio di me colpito da un infarto. Una duplice e parallela elaborazione del lutto, quello reale e quello della fiction (se non si tratta di un lutto di per un famigliare ma di un semplice conoscente di qui e di là dello schermo, intendo) è in grado di generare un corto circuito emotivo soprattutto se siete schiavi del vostro stato d’animo fino al punto da lasciarlo trasformare dallo stato gassoso dell’anima a quello liquido delle lacrime. La metafora di Shonda Rhimes – o di qualunque sceneggiatore di telefilm, nel suo piccolo volendo anche quello di “Un posto al sole”, per dire – come creatore di mondi abitati da esseri umani sui quali esercitare il diritto di vita e di morte fa al caso nostro. L’attore che impersona il bel chirurgo si stufa, l’altra attrice litiga con la produzione, quella che invece vuol tentare il salto di qualità e accetta un’altra scrittura, nell’industria dell’entertainment sono tutte cause di condanne capitali e irreparabili quanto un licenziamento in tronco. Sappiamo che dietro l’incidente di questo o il brutto male di quella ci sono solo beceri accordi commerciali o problemi di cattiva gestione delle risorse umane, eppure anche di là dal 47 pollici ci arriva dritto in pancia il dolore degli altri che poi, quando ne hai uno di qua personale e in contemporanea, non puoi non farti delle domande ed esigere delle risposte. Non è vero, quindi, che siamo immuni quando i fatti sono la finzione e la tv è la realtà, semmai il contrario. Abbiamo fatto un minestrone di cose vere e cose che da qualche parte, in un universo che non conosciamo ancora, sono vere ugualmente. Questo coso qui dentro il quale mi state leggendo potrebbe essere il punto di contatto tra le due dimensioni, se è vero che un po’ all’Internet, come messia di una conoscenza finalmente liberatrice perché più immediata e semplificata, ci credete davvero. (p.s. nascosta in questo post c’è una citazione di un noto quartetto rock irlandese, chi la trova vince una giornata con il suo blogger preferito)
Certo che non siamo immuni, a volte certi serial televisivi si sovrappongono alla vita… io questa disgrazia di Sheperd ancora non l’ho vista, però ricordo come un vero strazio la morte del Dr Mark Greene in E.R., fin troppo dolorosa e realistica.
E poi c’è la vita vera, così fragile, penso al papà di quella bimba di cui parli, povera stellina.
Ah… io la citazione non la trovo…uff!
pensavo invece alle serie di una volta in cui anziché far sparire un personaggio sostituivano semplicemente l’attore, Era successo in Capitol, lo seguiva mia mamma negli anni 80. Uno dei protagonisti da un episodio all’altro ha avuto un’altra faccia. Secondo me è meglio questa specie di morte bianca.
Eh… sì poi dopo un po’ ci si abitua anche alla nuova faccia,
Ehm, io ho guardato per anni Sentieri, lì ogni tanto qualcuno spariva dalla circolazione, se non moriva in genere andava in Europa… e c’era sempre la speranza che tornasse. La cosa fantastica era questa: il tizio o la tizia partiva e nessuno dei parenti ne parlava più. Niente, come se non fosse mai esistito. E insomma, se hai un figlio in Europa prima o poi ne parli!
Ecco, a volte qualcuno tornava, magari dopo anni…a volte era lo stesso attore di prima.
Così invece, ciao ciao Dr Sheperd.