Volevo essere così ricco da entrare nei negozi di abbigliamento e chiedere di abbassare la musica così ho pensato che mi sarei arricchito componendo musica di successo che oggi non è quella che riempie gli stadi, bensì quella che le compagnie telefoniche scelgono per i loro spot e che poi detta l’agenda degli ascolti negli spazi pubblici dedicati al commercio. Pensavo fosse il contrario, e cioè che le compagnie telefoniche cercassero canzoni per far sentire la gente più a casa propria nelle loro pubblicità, e invece poi ho scoperto che sono i compositori e i musicisti che si avvalgono di loro per restare colonna sonora della contemporaneità più a lungo possibile. Così ho messo il mio estro al servizio di chi vende connettività per consentire alle persone di chiamarsi, di scambiarsi messaggi e di navigare in Internet ciascuna con le proprie tariffe e le contraddizioni pensate su misura per attirare i clienti nel vortice dei disservizi più redditizi. Ho piazzato quattro hit, tante sono le principali compagnie telefoniche del mercato italiano, e sono diventato ricco da far schifo. Sta di fatto che da quando sono diventato così ricco la musica delle pubblicità delle compagnie telefoniche è diventata un vero e proprio genere musicale con la sua dignità commerciale come il pop, la techno, le canzonette di Sanremo e le suonerie degli smartcosi. Così finalmente sono entrato in un negozio che vende abbigliamento da ragazzine – sapete, sono il padre di una figlia di quella fascia anagrafica lì – e mi sono preso il lusso di dire alle commesse che se avessero abbassato il volume della musica che avevo composto io e che induce all’acquisto di un particolare pacchetto di traffico voce e dati per il periodo estivo avrei comprato tutto quello che c’era esposto della taglia della mia bambina. Mentre passavo la carta di credito sul lettore contactless ho precisato alla cassiera che la musica anche se composta da me non dev’essere ascoltata così forte. Io a furia di suonare punk industriale a un livello inumano, oramai venticinque anni fa, mi sono procurato una polifonia di acufeni che non mi dà tregua e che quando sono nel silenzio delle storie immaginarie di cui mi piace tener traccia mi rammentano quanto la musica possa ferire le persone più sensibili come me. Ho chiesto a chi lavora in quel negozio di rispettare un giorno di silenzio in onore della corretta conservazione dell’apparato uditivo e mi sono persino reso disponibile a rimanere con loro fino alla chiusura per celebrare quella festa di tutti a suon di mance, tanto sono ricco sfondato e mi basta un trillo di un qualsiasi smartcoso per ricordarmelo.
Tu pensa che quando ieri ho telefonato alla mia banca e la signora si andava a informare per trovare risposte alle mie bizzarre domande mettendomi in attesa, il telefono è rimasto muto. Senza musica di attesa. Il rischio è che si scambi l’attesa per una caduta di comunicazione, ma ho molto gradito il silenzio.
Io invece voglio fare la vocina che dice il credito e quelle altre cose lì…con cadenza genovese, naturalmente 🙂
non ci siamo più abituati
belin ti gh’è poche palanche 😀
Preciso 🙂 !