Vabbe’ ragazzi se avevate già capito tutto tanto di cappello e buon per voi, io sono lento e idealista e ci sono arrivato solo ora. Ma quelli che fra cento anni studieranno i nostri comportamenti si chiederanno perché agli inizi del secolo era stato istituzionalizzato un intero sistema per non fare un cazzo. Se non ci credete potete partire dalla vostra occupazione in questo momento, e mi ci metto pure io nel mucchio. Perché io sto scrivendo e voi state leggendo. Poi vedo sopra diverse finestre del browser aperte con tutti i vostri social network preferiti, poi la posta, un sito di informazione generalista. Ho capito che state annuendo, comprendendo, condividendo, partecipando, commentando, aggiornando il vostro status, scaricando, twittando, restituendo un poke, bannando, stalkerando, il tutto contemporaneamente e con quella manciata di neuroni sopravvissuti a una giovinezza passata davanti alle reti Mediaset. Ma quindi? Mi fate per cortesia vedere il prodotto fisico del vostro barcamenarvi digitale? Avete visto che avevo ragione? Non c’è nulla. Non rimane niente. Siamo peggio del settore terziario, che come si impara alle elementari è quello dei servizi e delle attività complementari, e ben oltre quello quaternario della attività intellettuali. Siamo ben irregimentati in un quinquenario dove spendiamo tempo, soldi, energia e anche salute nel vuoto cosmico perché se guardate bene non produciamo nemmeno letteratura. Basta mandare in crash il pc o un server che collassa o lo Zuckerberg di turno che decide di chiudere i rubinetti che tutte le nostre intuizioni si perdono altro che come lacrime nella pioggia. È tempo di morire, giusto per completare la citazione. Una metafora per dire che tutta questa digitalizzazione della nostra vita ci alza la pressione, ci snerva, ci fa sentire impotenti quasi quanto quando andavamo a messa e recitavamo i nostri mantra per dirottare gli aspetti più dolorosi del presente verso una dimensione più accettabile. La schermata blu di Windows 8 con le palline che girano per farsi osservare nella speranza che tutto torni come prima che il pc si piantasse è una discreta metafora. Ma oggi siamo ancora più insignificanti e mortali al cospetto della musichetta del call center della Tre che ci mette in attesa e che poi scopriamo non avere nemmeno un’opzione per farsi passare un operatore. Volendo possiamo anche decidere di suicidarci così, non mangiare non bere non respirare e lasciarci andare fino a quando dall’altra parte del telefono qualcuno si decida finalmente a fare qualcosa per noi.
Be’, io non sarei così pessimista. A me l’internètte ha aiutato anche in esperienze molto fisiche. Ho fatto cose, visto gente, tanto per citare qualcuno. Di queste esperienze ci sono tracce anche nel mio blog, ma non sono tutte lì, ovviamente. Ecco, no, non tornerei indietro.
Comunque questo argomento – il rapporto internètte / realtà – non è banale e non tutti lo vivono allo stesso modo.
Sante parole!
Internet è un mondo virtuale e come il mondo reale, bisogna imparare a viverlo. I nostri figli lo faranno meglio, perché noi, cavie del nostro tempo, lo abbiamo già sondato in lungo e in largo.
Insegneremo come farlo, quanto farlo e quanto sia importante, anche il rapporto reale/fisico con le persone!
secondo me i nostri figli nativi digitali cresceranno molto confusi, sono pronto a metterlo per iscritto
Giusto, l’insegnamento spetta a noi che abbiamo vissuto la transizione tra il vecchio e il nuovo e che quindi possiamo dare la direzione giusta a chi invece non ha vissuto l’era precedente.
Ma su questo non ci piove. Sto toccando con mano in questi giorni.