La mia prof di matematica del liceo non perdeva occasione per ricordarci quanto la materia che cercava di inculcare a noi alunni fosse meravigliosa, aggettivo che pronunciato con la potenza della sua erre moscia trasmetteva tutta l’enfasi fin troppo esagerata per un argomento che, in un contesto di interessi adolescenziali, la spunta a malapena con cose tipo il curling o il punto croce. Anzi, vi dirò che ai tempi se mi avessero messo in mano i ferri per la lana come mia nonna, che componeva centinaia di triangoli di lana di colori diversi per cucirli poi alla fine in coperte patchwork di superfici sempre in eccesso rispetto al reale fabbisogno famigliare, ne avrei tratto sicuramente maggiore soddisfazione. Ed è stato un peccato perché non me la cavavo affatto male né in algebra tantomeno in geometria. Ma cosa ci volete fare, dovevo instradarmi sulle materie letterarie per collezionare tutta quella serie di competenze inutili che poi mi hanno portato fin qui a scrivere per voi amici con cui ci teniamo compagnia, ma che siamo talmente pochi che potremmo incontrarci settimanalmente a casa dell’uno o dell’altro e leggerci reciprocamente ciascuno i rispettivi appunti di vita vissuta. Il problema è che ora sono cazzi: mia figlia inizia ad affrontare esercizi di matematica mica da ridere e io vorrei il più possibile spingerla verso l’altra parte dell’emisfero conoscitivo, quello in cui contano di più i numeri, le operazioni, le dimostrazioni e le equivalenze, e che magari ti fan venire voglia di tentare una carriera più costruttiva rispetto ai poetastri scribacchini topi di biblioteca senza nessun riscontro o possibilità alcuna, peraltro, come il sottoscritto. Siamo già nel pieno dei problemi con i segmenti in cui bisogna ragionare e far funzionare bene la logica. Si conosce la somma e la differenza di AB e CD, per farvi capire, e bisogna calcolarne entrambe le misure. Fatti spiegare bene le cose dalla tua prof perché se credi di contare su di me, mia cara, sei fuori strada, mi viene da dirle quando mi coinvolge per avere un supporto. E lo so che voi siete tra quelli che lasciate i figli in pasto alle loro esperienze. Io invece che non riesco a dirle di no poi alla fine mi ci metto e l’aiuto, come quella volta della tavola di tecnica. E riscoprire quel tipo di matematica ancora acerba devo dire che mi ha fatto ricredere sulle mie potenzialità, è bastato un richiamo per riaccendere, sotto una corteccia di scapigliatura letteraria, un po’ di quegli affanni da quaderno a quadretti che, con lo scritto della maturità, pensavo di aver definitivamente rimosso dalla mia esistenza. Che poi penso sia il principio Yin e Yang: rimane qualcosa, un’espressione mai risolta, un’incognita alla quale prima poi dobbiamo per forza di cose dare un valore.
Benché io me la cavassi malissimo in matematica e peggio in geometria, quando mi sono trovata ad aiutare i figli mi sono scoperta capacità che credevo di non avere mai avuto 🙂 però rinnegare l’emisfero scribacchino mai! Yin e Yang, forse è una buona idea. Un po’ di logica (q.b.) e poi tutto il resto dell’universo, tutte le incognite da risolvere, in qualunque campo, che sono il sale della vita… 🙂
Un saluto
Alexandra
Dall’altra metà del cielo (uh) dico che se c’è una cosa che è decisa a priori dall’impegno personale è da che parte stai, del cielo della forma mentis, e questa è cosa buona e giusta. A scrivere i temi non ero male (ne è rimasta traccia attuale su queste pagine, come dici tu), ma a quindici anni se mi chiedevano cosa ti piace rispondevo: risolvere i problemi di matematica, perché lì combini i dati, ragioni, e tutto va a posto. La dice lunga su chi sono anche oggi, questo, credo. Quindi bando alla progettualità costruttiva (costrittiva?) che ci vuole scienziati precari o letterati dubbiosi. Che tua figlia possa conoscersi e trovarsi. Magari tra una somma e differenza di segmenti.
Io sono alla tabellina del 4 e fino a qui me la cavo… La prossima settinana tutti a casa mia per le prime letture. Lambrusco e gnocco fritto.
Ma fino a che età si aiutano i figli? E’ questo che mi preoccupa…
Bellissima questa tua analisi, si vede che sei in perfetto equilibrio.
quella del 5 è facile, il 6 così così, il 7 puoi giocartela con le citazioni da 44 gatti, dall’8 in poi sono cazzi
Non credo ci sia una risposta che va bene per tutti,. Noi abbiamo due figli, uno di 16 anni e mezzo, l’altro di 12, li aiutiamo quando ce lo chiedono (raramente, ma ad esempio per ripetere qualche lezione), o quando pensiamo che possa essere utile (ad esempio per le lingue, ma anche, a volte, per la matematica, specie il grande, ma anche soltanto per farli sentire “seguiti”). Per quanto possa essere utile avere una qualche linea da seguire, alla fine noi conosciamo i nostri figli, sappiamo o possiamo imparare, giorno per giorno, tra errori, ripensamenti ed evoluzioni) qual è il loro personale equilibrio tra autonomia e bisogno di supporto e vicinanza. A volte poi, più che per la scuola, ci fanno mille domande su cose che sono al di fuori, ma pur sempre collegate a tutto quello che c’è nel mondo. Il Batuffolo (che io chiamo ancora così benché sia ormai di gran lunga più alto di me) ha un sacco di curiosità sulle scienze, dalle origini del mondo ai denti seghettati degli squali (!), mentre l’Orso (il più grande e silenzioso), ha delle curiosità, spesso, su quello che potrebbe o non potrebbe esistere/essere inventato, ecc. ed è il più “tecnologico”, per cui è un equo scambio: io lo aiuto a ripetere storia e lui mi aiuta a capire qualcosa sulle app 😀
Grazie della dritta. Quella del 5 è la mia preferita
qui da me sono io a mantenere il primato sulla tecnologia 😀 mia figlia (11 anni, prima media) se la cava molto bene ma non è per nulla motivata, per questo le stiamo appresso negli studi. A volte abbiamo l’impressione che senza il nostro controllo andrebbe serenamente a scuola impreparata o con i compiti non finiti. Speriamo ci sia un modo per trasmetterle il senso del dovere che, comunque, fino alla fine delle elementari aveva in abbondanza. Sarà un segnale di qualcosa, stiamo cercando di capire che cosa.