Se negli anni 80 a molti bambini gli si è rotta la fantasia con i cartoni dei Puffi, perché poi nell’osservazione empirica della natura a nessuno capitava di incontrare creature sconosciute più antropomorfe della rumenta abbandonata nelle discariche abusive, pensate un po’ oggi come vengono su le nuove generazioni con l’iper-realtà in HD. La differenza tra attori in carne e ossa e quelli che con consapevole volontà dispregiativa chiamiamo pupazzi animati malgrado dietro ci sia lo strenuo lavoro di migliaia di esperti in animazione tridimensionale su computer da millemila dollari è sempre più labile, a stento si percepisce il confine tra i due mondi e chissà se tutto questo fa bene a quelle testoline di cui i nostri figli sono attrezzati. Un aspetto della modernità che, a pensarci bene, costituisce un paradosso. Quante volte troviamo disarmanti le iniziative pensate per i nostri figli a partire dall’industria dell’entertainment e dello sport, e non certo per mancanza di fondi? Perché alimentare un immaginario così complesso fatto di dimensioni parallele ovunque, sulla terra, nello spazio, in parti misteriose dell’universo conosciuto e non, quando poi nel quotidiano, nelle società sportive, nell’offerta culturale siamo spesso rispediti indietro di decenni luce tanto è il contrasto tra fantasia e realtà? Pensate quando a otto anni già ci si spezzava la schiena in miniera o nei campi e i racconti dei nonni erano altro che l’iperuranio platonico. Oggi è così. C’è un sistema che carica di aspettative le nuove generazioni e poi pressapochismo, incompetenze e incuria fanno presto a riportarci con i piedi per terra e sono i genitori i primi a guardarsi sbigottiti. Ma come? Tutto qui? Ci chiediamo così dove finiscano tutti i sogni dei nostri figli, le domande, le storie e le loro proiezioni una volta che si infrangono su pareti scrostate di palestre, addetti al loro sviluppo fisico e intellettuale sottodimensionati, un’industria che trattiene le risorse per il proprio sostentamento erogando servizi di infima qualità. Per non parlare dei veri ambiti che contano sul serio come alimentazione e istruzione. Forse tocca a noi genitori abbassare l’asticella dello spirito critico e dell’ansia, probabilmente ci siamo auto-caricati di bisogni che i nostri figli sono i primi a non avere.
allora la soluzione è eliminare ogni sorta di divertimento? Cartoni animati, anime, fumetti, manga, film, sceneggiati, videogiochi e tutto ciò che viene in mente?
no, però dovremmo riflettere sulla differenza di attenzione che viene riposta in ogni tipo di iniziativa per i bambini volta al profitto rispetto a quelle che hanno solo le finalità per le quali sono ideate. L’ho provato di tasca mia tra due società sportive, una che va avanti solo con lo sforzo volontario di un gruppo di persone, l’altra una vera e propria scuola che cerca di preparare future campionesse. C’è giustamente una enorme differenza di costo tra le due. Il problema è di chi si è illuso – e lo dico senza nessun tipo di giudizio etico – che l’imprenditoria ludico-culturale fosse una missione quando invece ha le stesse dinamiche di un qualunque esercizio commerciale.
Ma è un discorso totalmente diverso. Se il proprio figlio vuole fare calcio il genitore deve decidere tra le due alternative. Mandarlo nella squadretta dell’oratorio o mandarlo in una società, come dici tu per preparare futuri campioni. Sono scelte, nella prima sarà solo divertimento, ma nella seconda nel bene e nel male, il ragazzo imparerà a crescere, imparerà tante cose che nella prima squadra non potrà fare.