serie 01, ep. 03

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Sono arrivato all’appuntamento decisivo con un anticipo vergognoso che, dal mio punto di vista, doveva essere sufficiente a evitare imprevisti, ma per una persona non ansiosa come me può sembrare una follia vera e propria. Ho tutto il tempo per fare un sopralluogo in un borgo che non vedo almeno da quindici anni. È una mattina di venerdì di fine novembre e mi trovo in uno di quei paesi in cui i giovani vanno a studiare fuori e i grandi si spostano quotidianamente per lavorare nel capoluogo. Questo significa che a spasso ci sono gli immancabili anziani locali che se la prendono comoda, i professionisti che hanno lo studio in loco e si invitano reciprocamente per un caffè, quelli un po’ borderline che fanno parte dell’umanità autoctona e che non hanno meta né obiettivi a lungo termine, commessi dei negozi che nei giorni feriali si riversano in strada come ambulanti provvisori, bariste pesantemente segnate sotto gli occhi dalle ore piccole della notte prima. Cerco un locale notturno dove una volta ho ricevuto un resto di cinquantamila lire superiore a quanto mi era dovuto ma ora, al suo posto, c’è un centro di bellezza dal nome fuori luogo ancora chiuso. Mi incammino lungo il tratto in cui mi sono sentito rispondere che il fatto che fosse successo una volta non doveva per forza essere confuso con una forma di impegno duraturo, più o meno lo stesso punto in cui poi Ivano in bicicletta mi aveva restituito il disco dei, come li chiamava lui, Sezz Pistons, sputando pure un po’ durante la pronuncia. Avete capito dove siamo, no? Se agganciate il GPS,  vi troverete esattamente di fronte a dove poi c’era quell’altra specie di dancing per avventori di seconda scelta in cui avevo sentito da fuori suonare un lento del calibro di “Voglia di morire” dei Panda. Ma ora sta per piovere, d’altronde qui in Liguria piove sempre, e sul lungomare stanno montando giostre, autoscontri e altre attrazioni in vista del Natale. Vestire la realtà da luna park ne accentua la miseria, su questo siamo d’accordo tutti. Per questo non mi lascio sfuggire l’occasione di fare foto deprimenti – non c’è nulla di più sconfortante di un tagadà a riposo – e so che posso contare sulla solidarietà di una nutrita compagine di sodali facili a buttarsi giù con niente sui social. Ora però parliamoci chiaro: non state leggendo una storia della mia famiglia, che poi non è nemmeno interessante, nonostante questo ci sono però un paio di aspetti di cui vi devo mettere al corrente per avere il quadro completo di come sono andate le cose.

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