Questo almeno fino a quando non sono maturata, come scrittrice, intendo, e ho iniziato a tirarla per le lunghe con le storie ma soprattutto a non dovermi vergognare il giorno dopo di quello che avevo messo giù la sera prima solo perché avevo cambiato umore o c’era qualcosa che non andava. Ho scoperto alla fine che un romanzo lungo e articolato avrebbe potuto coprire un periodo più diversificato di stati d’animo e adattarsi meglio agli alti e bassi della vita, ma è complicato riuscire a trattare storie e trame narrative con un approccio diverso perché dietro ai romanzi c’è sempre la stessa mano, un’unica autrice come me che un giorno gli arriva il rimborso Irpef e riceve attestati di stima da sconosciuti, il successivo deve consolare la figlia per un misero sette di tema quando poteva meritare almeno un paio di punti in più, considerando il mestiere di sua madre, e solo perché ha iniziato una frase dopo il punto con “almeno”. Almeno è chiaro che dei turbamenti con il segno positivo e negativo poi la personalità ne risente, figuriamoci l’arte e la finzione stessa narrativa. Trattare i profili dei protagonisti delle storie con coerenza è la vera sfida, mettere da parte se stessi e inventarsi figure come terze parti di sé da trattare come Tamagotchi che una volta accesi dalla nostra fantasia compiono la loro esistenza indipendentemente da noi, un gioco di ruolo in cui dobbiamo abdicare persino la carica del master per lasciare i personaggi soli con la loro finzione. Poi però penso a tutto l’amore che si riceve ad essere in carne ed ossa e a che cosa il frutto di invenzioni come la mia, come quel blogger quasi cinquantenne protagonista del mio primo romanzo che scrive tutti i giorni in quel modo strampalato, si perdono a restare in quel mondo a due dimensioni che è la storia raccontata e scritta. Anche i piccoli segreti senza risposta, sapere per esempio che cosa spinge alcune persone a passare dalla veglia al sonno in meno di dieci respiri completi senza nemmeno riuscire a terminare quello che stavano dicendo, o perché gli uomini non sopportano che le loro mogli riescano a portare a termine telefonate da cinquanta minuti. Avere progetti narrativi sulla lunga durata è come tessere una vita parallela, trovare intorno e fuori e dentro tutti gli episodi per comporre quotidianamente una sorta di ambiente virtuale, come quelle cose kitsch che si vedevano su Second Life, senza correre il rischio di impazzire nell’immaginarsi che cosa combinano tutte quelle vite costrette a stare sveglie quando lo vogliamo noi nei momenti in cui non ci siamo. Probabilmente si riposano, magari si innamorano e non ci dicono niente, tornano nelle loro case a vivere con i loro cari, magari scrivono le loro impressioni e scommetto che qualcuno ha pure qualche velleità di fare il romanziere come me.
Cosa fanno i nostri “second life” quando non ci siamo? Come chiedersi dove va a finire l’ora legale!
non ci avevo mai pensato