Il pop sembra essere nato per restituire all’ascoltatore senza pretese quella regolarità melodica che la musica classica del 900 ha sottratto al pubblico. La questione è annosa e vecchia tanto quanto la sensibilità artistica: lasciare un essere umano alla mercé di una discografia in cui il massimo dell’orecchiabilità – intesa come la intendiamo noi – è Bruno Maderna, potrebbe davvero sviluppare un gusto e, soprattutto, una mentalità scevra dalla regolarità armonica, timbrica e ritmica a cui anni di tun za tun za e festival della canzone italiana ci hanno abituati? Ne abbiamo già discusso a profusione, a partire dai tempi dispari e il free jazz eccetera eccetera.
Questo per dire che la musica classica dal secolo scorso fino ad oggi sembra essersi allontanata sempre più dal gusto reale, o se preferite è il gusto che è sprofondato nel baratro della faciloneria e della semplificazione, mentre compositori e studiosi classici hanno preso il volo verso la sperimentazione che certe complessità della società, della cultura, della storia stessa hanno quasi imposto alla musica colta. Sì, ci sono stati ingenui tentativi con certi generi popolari, ma la musica – passatemi il termine – accademica, ufficialmente classica contemporanea si è librata in alto come se un’élite volesse mantenere un linguaggio aulico fino a rendersi incomprensibile alla massa più a proprio agio in una una sorta di “sermo vulgaris”.
Questo fino alla nascita del pop: se la gente chiede cose elementari, diamogli i quattro accordi, le chitarre elettriche, i movimenti del bacino, i ciuffi colorati e il sudore sotto il palco. Il pop poi è assurto a disciplina autorevole e arte a tutti gli effetti, e ve lo dice uno che più pop di così non ne potrete trovare in giro. Il pop si è evoluto e trasformato e da almeno trenta o quarant’anni fa il bello e il cattivo tempo nell’estetica, nei consumi e di conseguenza nell’economia di tutto il mondo, indipendentemente dal livello di sviluppo.
Il punto è che oggi alcuni paradigmi pop e vi dico i primi che mi vengono in mente che sono sensualità, trasgressione, compiacimento, esibizionismo, seduzione, questi paradigmi si sono fusi a causa delle alte temperature di certi generi particolarmente roventi e hanno dato vita a una sintesi talmente striminzita da diventare un unico elemento nucleare che condensa tutto ciò che del pop stesso è stato superato ed è divenuto obsoleto a causa della vertiginosa accelerazione a cui i paradigmi di cui sopra – sensualità eccetera eccetera – sono stati soggetti da quel bordello di cose di difficile interpretazione che è il tempo in cui viviamo.
Quella sintesi, quel nucleo che raccoglie in sé tutto lo scibile, oggi si chiama culo. Avete letto bene. Non si capisce per quale motivo secoli di evoluzione ci abbiano circoscritto proprio lì dentro, nel culo, e che solo il regresso verso la disparità di genere che il crollo di certi valori ha ravvivato da qualche lustro a questa parte imponga esclusivamente come riferimento il culo femminile. Che bestie, vero? Siamo nel bel mezzo di un’invasione di culi, culi che il pop ci rende famigliari dietro le sembianze di provocante divertissement, ma se date un’occhiata a quello che ci tocca vedere di questi tempi, e prendo a esempio la battaglia di culi tra i due seguenti video musicali, converrete con me che presto, in questa profusione di culi, moriremo soffocati.
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Un pensiero su “la guerra dei culi, ovvero l’eterna lotta tra il buon gusto e certa estetica a stelle e strisce”