Da Dante a Fedez – e perdonate il jet lag a cui vi ho esposto, posso immaginare che lo iato culturale multi-circadiano tra due poli così opposti sia incolmabile – dicevo che da Dante a Fedez il subbuglio ormonale da sfogare in rima deriva per lo più dalla tensione erotica che nella gamma delle sensibilità artistiche – ecco perché i due antipodi della poesia, l’acme e la fogna – si espleta attraverso la rima più o meno musicata. In mezzo ci sono mille anni di melodie d’amore però, versi modulati su accompagnamento strumentale, su cui autori si struggono mentre ascoltatori si dannano e beneficiarie si schermiscono. Le canzoni romantiche fanno sognare da sempre gli adolescenti ed è un processo che si reitera nel tempo con una continuità che non ha confronti. Se incontrate nel 2014 ragazzi che cantano i loro inni alla spensieratezza, a me è capitato qualche giorno fa in treno con tre giovanissime che intonavano un facile ritornello dell’ultimo disco de “Lo stato sociale”, mettete mano alla vostra vita e ripescate quel momento in cui è successo anche voi di condividere pene o successi amorosi con qualche amico di appoggio dotato di chitarra o altro strumento portatile, voce di supporto compresa, e riassaporate il conforto dato dallo sfogo dell’urlare quelle parole in cui vi siete riconosciuti protagonisti nel bene o nel male con una spalla compiacente a cui confidare cose così complesse come l’innamoramento corrisposto o respinto in giovane età. Si ride, si piange, ci si dispera o si cerca un appiglio per riprendere a vivere da un’altra parte con la canzone romantica giusta. Noi italiani siamo bravissimi in questo, se non fosse che spesso ci troviamo borderline con la lagna. Ma che importa ai produttori di testi da musicare, il loro obiettivo è fare soldi proprio con i nostri sentimenti incoraggiati o interrotti o anche solo ostacolati. A noi ragazzi alle prime esperienze ci basta un ritornello da ripetere fino all’esasperazione, come un mantra in grado di abilitare decisioni altrui a nostro favore. Un sì, un va bene, un bacio o una di quelle espressioni che poi a casa si possono adattare alle aspettative tanto sono neutrali. Da Dante in poi, ma solo per una corretta collocazione storica della certa esistenza della nostra lingua e Fedez questa volta lo lasciamo fuori dal gioco, miliardi di milioni di ragazze e ragazzi in coro si sono misurati poi subito dopo con l’enigma del silenzio, a osservare se il messaggio ha sufficiente forza per levarsi in alto e volare a destinazione, ignari del sistema di saturazione audio che c’è dalle nostre bocche in poi, un concentrato delle preghiere laiche o ufficiali di richiesta di salvezza a divinità in carne ed ossa, oggetto dei desideri di un genere umano che non cambierà mai e continuerà a vivere – con un coinvolgimento senza tempo – quella cosa che nessuno si spiega ma che, dicono, fa girare sole, stelle e, talvolta, parti anatomiche che la poesia la limitano un pochetto.
Il problema è che nell’amore tutto a di de ja vu
tutto è evocativo quando siamo innamorati, vero.