C’era da immaginarselo che finiva così. Vedi uno che fa l’impagliatore di sedie, che è uno dei mestieri più antichi al mondo, lo vedi seduto sul marciapiede della via del tuo ufficio addirittura all’angolo di un’arteria urbana di quelle lungo le quali fanno la spola le circolari destra e sinistra e la cosa ti sembra così strana che ti viene naturale distrarti dalla conversazione telefonica che stai tenendo nella classica postura da quello che ci sta attento a non prendersi le onde elettro-sa-il-cazzo-cosa dritte sulla tempia. Quindi con l’auricolare conficcato nelle orecchie, che a furia di metterlo e toglierlo anche il gene del cerume finirà per essere commentato dai programmatori nel codice genetico tanto non servirà più al genere umano del futuro dalle orecchie stra-linde. E in questo confronto di approcci alla vita con il retrogusto di battaglia tra epoche storiche – quella degli spazzacamini versus quella degli influencer – è quanto mai naturale per noi stabilire i parametri che declassano a lavori umili tutti quei mestieri che possono essere svolti senza un dispositivo connesso a Internet, piccola fiammiferaia compresa.
Ora pensate che assurdità questa visione network-centrica del mondo, o comunque frutto di un processo evolutivo con un sistema operativo come motore immobile, in cui la vita, il lavoro, persino le relazioni sentimentali e la trasgressione sono considerate solo se connesse in qualche modo a un ambiente che ne riconosca i dati e li possa analizzare mentre le persone fanno finta di non saperlo. Ora nemmeno io credo al complotto dei servizi segreti della superpotenza internazionale che passa le nottate a collegarsi anche su questo blog per verificare se c’è del materiale che scotta, dal punto di vista del nuovo ordine mondiale. Voglio dire, spero che Russia, USA e Cina non siano messi così male, e comunque me ne accorgerei dal resoconto degli accessi. Sapete che sto scherzando, vero. Così l’artigiano che impaglia sedie seduto all’angolo senza però un counter che digitalizza la sua operatività resta fuori dai sistemi di tracking e chi si è visto si è visto, senza contare i risvolti fiscali della sua attività, perché non crederete che finita la sedia che qualcuno gli ha commissionato l’impagliatore vada lì con il POS o con un libro della contabilità, vero?
C’è anche una bella differenza tra il marketing digitale e la comunicazione ultra-analogica e fisica dell’impagliatore di sedie con tutto il resto del mondo informatizzato. Se vedete una sedia a una fermata della metro, per esempio, o lasciata alla mercé dei pedoni e dei ciclisti che travolgono i pedoni sui marciapiedi, quello è il segnale che di lì a poco potreste incontrare un impagliatore di sedie in carne ed ossa. A volte sulla sedia stessa c’è pure un’insegna scritta a mano con nome, numero di telefono e una freccia da seguire per trovare il lavoratore di strada. Che poi è una cosa che mi fa venire in mente il modo in cui trattorie e ristoranti a volte comunicano la loro presenza o il fatto che sono aperti. Un tavolo apparecchiato con la tovaglia e una bottiglia in mezzo, in bella vista. Mi pare così, giusto? Ed è interessante il modo in cui si sviluppa questa semiologia delle professioni del tutto arbitraria nonché borderline dal punto di vista della legalità. La pubblicità in spazi comuni dovrebbe pagarsi in qualche modo, e chi lo sa se sedie impagliate e i tavoli da pranzo sono già il frutto di un investimento in marketing non convenzionale, e noi ne siamo all’oscuro.
Bellissimo! Mi hai anche ricordato un negozio di un impagliatore di sedie, nei caruggi attorno al Ducale…e non c’è più, purtroppo!
ne ho visto davvero uno qui all’angolo, venerdì scorso, ed era da un po’ che notavo una sedia con la sua pubblicità alla fermata della metro
Si ma poi si rischia di divenire primitivi del futuro!
i futuri anteriori