ce l’hai

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Una delle prime cose che ho fatto dopo che è mancato mio papà è stata quella di acquistare uno smartcoso Android di buona qualità e dismettere un catorcio con la tastierina qwerty a prova di dita dal diametro di stecchini con un’esperienza d’uso devastante soprattutto per navigare in rete. Ogni tanto si sente qualcuno che, per tirarsi un po’ su, va a far shopping. Per me è stato proprio così, solo che la necessità di comprare qualcosa di appagante è stata così spontanea che ho collegato i due avvenimenti molto tempo dopo. Così sono giunto a una specie di ingenua conclusione che probabilmente il capitalismo ha avuto tanto seguito perché nulla ci dà così tanta soddisfazione come il possesso materiale del nuovo. Il verbo avere è uno dei fini a cui tendiamo maggiormente e non è un giudizio morale. Voglio dire, tutta la storia degli ottanta euro puntava proprio sul farci propendere ad essere un po’ più spendaccioni, c’è gente che ha preso il quarantun per cento facendo leva sui nostri orientamenti e sul marketing. Si può comprare per stretta necessità, ci si può contornare di beni superflui, ma la cosa nuova di pacca è di per sé irresistibile nel momento in cui, nella privacy delle nostre stanze, la attiviamo, la indossiamo, la disponiamo, la montiamo o la smontiamo per la prima volta. Ma se tutto questo è innato in noi quanto è vero, probabilmente è altresì plausibile che, all’opposto, la condivisione non fa proprio per la nostra natura. Che ne dite di questa notizia bomba? Lasciate perdere i vostri cari, i vostri figli, i vostri amici e l’altruismo in genere. Pensate piuttosto allo sforzo culturale che ci è stato imposto come miglioria delle coscienze che abbiamo in comodato d’uso per spartire un nostro bene, c’è tutto un compromesso universale che ci fa progredire e sopravvivere a noi stessi proprio grazie a questa capacità di mettere a disposizione di altri le nostre cose. Quegli uomini in miniatura dei nostri bambini, per esempio, mica si fanno tanti problemi a soprassedere sulle spartizioni o, all’opposto, a dilapidare inconsciamente patrimoni ludici di proprietà proprio perché privi dei freni inibitori che regolamentano la convivenza civile e l’attribuzione del giusto valore alle cose. Comunque a comprare per sentirsi bene uno ci prende gusto proprio per l’efficacia terapeutica, tendere alla realizzazione del sé trasformando carta moneta o denaro virtuale in oggetti è una sorta di reazione chimica che ha del miracoloso. Carte di credito che fumano da quanto sono state strisciate nei POS. Armadi e ripostigli che traboccano di packaging appena disfatto ché è sempre meglio conservare la scatola, qualunque cosa essa contenesse, almeno per un po’. Ci ferma solo questa maledetta flessione economica, oppure al contrario è proprio questo senso che non ci sarà un domani di risparmi a indurci al consumo. La prova tangibile dell’opulenza, o del semplice benessere da classe medio-bassa, la tara che ci portiamo appresso dalle caverne o per lo meno dall’invenzione del denaro: il rigore, quello che va tanto di moda nella mitteleuropa, è solo una distorsione della realtà.

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