ma poi si è mai capito come viene un rapace?

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Se escludo il piccione che si era appollaiato sui fornelli, il passerotto cucciolo o pulcino o come diamine si chiamano i piccoli volatili che ho trovato morto in decomposizione in un anfratto della casa in cui vivevo – piani molto alti ma tutt’altro che nobili – e il merlo appena nato che era caduto sul mio balcone per la gioia dei miei due gatti che hanno giocato con lui agonizzante per un intero pomeriggio prima che intervenissimo con un salvataggio di facciata, giusto per illudere mia figlia che nonostante le ali masticate dai felini c’era ancora qualche speranza che la mamma lo venisse a prendere nel giardino condominiale, i rapporti con la specie animale che in quanto a ribrezzo nella mia classifica è terza solo dopo insetti con corazza e rettili, volendo, potrebbero essere molto più costruttivi, qui in periferia di Milano.

L’avreste mai detto? Nonostante il verde coatto che piantumiamo tra un condominio classe A e una villetta a schiera solo come espiazione di una colpa da poco come condannare il  nostro pianeta a una fine prematura a causa della nostra indole altamente inquinante, se riuscite ad astrarvi superando i rumori costanti di tangenziali, antifurti, frese, betoniere, ambulanze e quei robi che schiacciano l’asfalto appena posato che non mi ricordo come si chiamano, quelli degli incubi che tu scappi ma non ti muovi di un millimetro e quello ti fa fare la fine dei personaggi Looney Tunes, ecco se spazzate via tutto questo e prestate attenzione sentirete un concerto di versi pennuti che nemmeno quelli che stanno fermi nella macchia a fare bird watching.

Ora se pensate che io sia in grado di attribuire ogni verso alla specie che lo ha emesso vi sbagliate di grosso e soprattutto mi avete sopravvalutato. Ma ce ne sono alcuni che mi piacciono particolarmente perché sono incredibilmente ritmici, suddivisi in parti simmetriche con ritmo così preciso che si potrebbero mettere a click. Da bambino trovavo tutte le assonanze con le parole e me le ricordo ancora adesso. C’è il verso di un uccello che sembra dire Ma-gya-ror-szaaaag Ma-gya-ror-szaaaag che dev’essere una sorta di tortora con una sua variante dal classico andamento in cui, come dice mia cognata, si distingue perfettamente il mio nome Ro-beeeeee-rto Ro-beeeeee-rto Ro-beeeeee-rto.

Poi si sentono gli ennemila ciiiiirp cioooorp che potrebbero essere di chiunque, l’inconfondibile stock stock stock del picchio che mai avrei pensato di sentire qui, a due passi dalle case popolari di Quarto Oggiaro e di tutto ciò che questo implica. Ci sono infine i guastafeste, quelle cornacchie e le gazze che con la loro mole spazzano via tutto il vociare degli altri volatili di periferia e che sono gli unici a cui i miei due gatti domestici si astengono dalla consuetudine di emettere quel verso che sembra un abbaio cai cai cai cai ripetuto in cui spesso si scorge l’istinto predatore dei felini domestici ma che poi, appena si vede qualcosa di grosso, scappano con la coda tra le gambe. Facile fare i gradassi con i doppi vetri alle finestre, eh?

Ecco, gazze e cornacchie che magari sono di due famiglie diverse ma che accomuno perché da queste parti ce ne sono davvero un botto, sono gli uccelli più comuni che, oltre a sentirne il funesto graaa graaa graaa li vedi fare il bello e il cattivo tempo sui tetti, in mezzo alla strada, in volo. Per un immigrato come me, che arrivo da un posto dove invece spadroneggiano i gabbiani anche in un modo ache non sfigurerebbe in una sceneggiatura di Hitchcock, questi uccelli neri sono una novità. Ma la loro bruttezza, non da meno di quella dei gabbiani che se pensate a cosa mangiano e a come si comportano li troverete tutto fuorché romantici, è davvero rara e lo stridore oltremodo inquietante.

D’inverno c’era comunque l’usanza di lasciare le briciole sul balcone nei periodi più freddi, in cambio di qualche ricordino organico, uno scambio impari che mi ricorda l’enorme voliera di mio nonno che teneva in cucina e a cui ogni tanto spalancava le porte per lasciare cardellini e canarini con l’illusione della libertà. Ero molto piccolo e non so dirvi come poi ritornassero tutti dentro. Ma forse le mie perplessità nei confronti degli animali d’aria risalgono proprio a qualcosa successo lì.

6 pensieri su “ma poi si è mai capito come viene un rapace?

  1. perché poi, allo zoo birdologico metropolitano, non hai – non so dirti se purtroppo o buon per te – dei cocoriti in piena regola, di colore verde evidenziatore con la coda bluette – non so dirti a quale specie di pappagalli appartengono, ma sempre pappagalli sono. hanno ormai colonizzato le città a nord di bari e scorrazzano frantumando i ” cabasisi ” comportandosi come dei veri delinquenti, schiamazzando e volazzando in formazione veloce, neanche fossero il barone rosso e suoi accoliti. abbiamo tutti un merlo da piangere! 😀

  2. bello sì. ma non so alla lunga che cosa ne verrà fuori. immagino neo specie a base di gazze ladre colorate di verde fluorescente. pappagazze, forse! 😀

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