sui tuoi passi

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Prima camminavo lungo una strada mai vista di Milano e ho fatto finta che ci fosse mio papà al mio fianco ma ho smesso subito. Mi sono detto che anche io sono un papà e non è giusto avere comportamenti che possono disorientare i propri figli. Ovvio che mia figlia non era con me, ma se volete essere coerenti a qualcosa o qualcuno è bene far sempre finta di avere una webcam puntata contro come si fa da ragazzini nella cameretta a interpretare canzoni romantiche come le star del pop fingendo che qualcuno ci stia osservando. Poi ho trovato un punto di riferimento geografico, prima che emotivo. Ho riconosciuto la via dove abita quel mio amico – fino ai 18 anni siamo praticamente cresciuti insieme – che quando sono andato a trovarlo dopo che si era trasferito lì mi aveva portato all’ingresso dell’agenzia di modelle di fronte al suo garage per farmi stupire delle bellezze in transito. Eravamo rimasti lì per più di un quarto d’ora ma non è passato proprio nessuno. Così ho ritrovato facilmente la grande emme rossa della metropolitana, sotto la quale un uomo vestito con i colori e i tessuti dei manager in estate si lamentava con un collega molto simile di un report lasciato inavvertitamente sulla scrivania. Prima di scendere sotto terra ho pensato che qualcuno avesse appena perso il lavoro per una inadempienza causata da una distrazione da stress, come quando mandi un’e-mail a qualcuno a cui non dovresti. Ho collegato queste piccole cose e mi è venuto da dire “il mio papà” a voce alta, tanto non c’era nessuno sulle scale mobili, solo per vedere l’effetto che faceva, e mi sono sentito come se qualcuno mi avesse guidato a destinazione.

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