Qualcuno deve avere inclinato l’asse terrestre come quei giochini da quattro soldi che ci sono nei tappi dei tubetti delle bolle di sapone, il labirinto e la pallina che con un lavoro adeguato di polso si deve guidare verso il buco. Oppure il celebre bastone della pioggia che si capovolge e la scia di quello che c’è dentro defluisce verso gli antipodi con tempi che si fanno beffa delle leggi di gravità. Mi chiedo cosa succeda là dentro. Si rientra a casa e il Frecciarossa è dalla parte di chi ha un biglietto di ritorno da mostrare al capotreno, insieme al mistero delle carrozze numerate che stanno al gioco delle stazioni con binari tronchi e che a furia di mescolare testa e coda ti fanno scendere a Milano dalla parte giusta, quella che per l’evidente risparmio di tempo richiama viaggiatori da tutto il convoglio verso l’uscita a ridosso del locomotore trainante. Il resto è argomento di quella letteratura che fa leva sulle emozioni facilmente scardinabili. Se arrivi che è ancora chiaro, una delle combinazioni più facili considerando la stagione in corso, resta poi tutta la sera davanti per smaltire il jet lag di serie B dovuto agli spostamenti nazionali, nessuno è pronto a giustificare uno stato di spossatezza per così poco anche se seicento km macinati in una manciata di ore hanno in sé un fattore di straordinarietà che poi, nei film di fantascienza, siamo i primi a riconoscere come una delle conquiste su cui concentrare investimenti e risorse per la ricerca. I congiunti notano invece aspetti marginali, la chiazza di sudore sulla camicia dovuta allo zainetto con pc portato sulla schiena nell’unico tratto percorso a piedi nella giornata, o qualche orpello rimasto a testimoniare il luogo da cui si è partiti poche ore prima. Uno scontrino con l’indicazione di una via mai sentita, una piantina del centro di Roma, una bottiglietta di acqua naturale proveniente da una fonte dal nome che ci fa sentire fieri della nostra cultura umanistica. Ma capita anche di rientrare che ormai è notte. Qualcuno ha lasciato uno smartphone in carica, c’è un led verde che lampeggia nel buio e che sembra un’astronave lasciata in doppia fila nel salotto con le quattro frecce. Gli inconfondibili ronzii del frigo comunicano con un linguaggio alieno il benvenuto delle cose famigliari di cui la luce della luna da fuori lascia intravedere solo le forme ma con approssimazione. Se siete fortunati qualcuno, di solito i più piccoli, si sveglia e vi corre incontro. I coniugi si mobilitano per un corroborante di benvenuto ma nulla dà più ristoro di una doccia, le lenzuola sulla pelle pulita, la promessa di risvegliarsi dopo in un ambiente conosciuto a memoria. Fermo, stabile, costruito su misura.
“nulla dà più ristoro di una doccia, le lenzuola sulla pelle pulita”.
quella sensazione di pulito sulla pelle rigenerata è, in effetti, impagabile.
com’è vero