Come fare coesistere l’indie rock con le tragedie famigliari e l’ipertensione? Come conciliare una pagella piena di dieci di tua figlia con un lutto imminente e l’attesa di un vinile degli Offlaga ordinato su Amazon e in consegna da Bartolini? Come mescolare i rapporti sui social network con l’editing di un profilo aziendale che devi consegnare entro sera e lo stato d’animo di un’era della propria vita che volge al termine? Vagare all’ipercoop con la propria famiglia mentre il destino di tuo padre si consuma a km di distanza e gli Interpol annunciano il loro album? Come rimuginare sul miglior modo di porre delle domande alla traduttrice di Franzen alla cui conferenza non vedi l’ora di presenziare domani sera mentre tua madre ti avvisa che il respiro rallenta e c’è anche sciopero dei benzinai. Viviamo, e moriamo anche, in un sistema imprevedibile che davvero se non esistesse bisognerebbe inventarlo. Così stasera ho ascoltato tutto Moon Safari degli Air prima che mi avvertissero che era questione di ore, pensate un po’. Un disco così che legherò per sempre con gli ultimi istanti della mia vita da figlio. E la notizia, la più triste, mi ha colto in macchina nei pressi di Novi Ligure, con la radio accesa per non cadere in colpi di sonno che trasmetteva You oughta know di Alanis Morrisette. Fare conciliare certe cose non è che impossibile, è così e non ci si può fare nulla. La morte è una componente della vita, come il dolore e i dolci e le canzonette e le agitazioni sindacali inappropriate. Per questo tutto esiste in un mucchio dove tiriamo fuori cose a caso e non credo uno debba vergognarsene. L’ultima domanda che ho fatto a mio papà è stata chiedergli perché a persone come noi cresce dentro questa passione per la musica. Da dove viene? E perché supera persino la smania di finire un libro, il passare notti insonni per non perdere l’ultima puntata della nostra fiction preferita, scrivere di cose come questa su un blog, trascorrere le serate con amanti ben disposte, fare code per un panzerotto famoso in tutto il mondo? Non gli ho fatto tutte queste metafore perché era già bello confuso, ma il senso l’ha capito perché nel suo filo logico intermittente mi ha parlato proprio di toccate e fughe e sarabande, mentre certe partiture moderne proprio non fanno breccia nel nostro sentire. Non lo so, sono sempre stato troppo cazzone per imparare la musica classica ed è per questo che avrei voluto dirgli che mi dispiace non aver imparato a suonare il piano e l’organo da chiesa come voleva lui. Ma so anche che quando vorrò rivederlo mi basterà guardarmi allo specchio.
Un abbraccio.
Vorrei poterti esprimere meglio quanto mi dispiace. Far coesistere vita e morte è strano… Era nata da una settimana mia figlia quando è morto mio suocero e mio marito viveva due vite, tra immensa gioia e immenso dolore… Un abbraccio caro
Ti mando anche io un abbraccio, confusa dal lirismo con cui sai leggerti dentro, mischiare vita e non più vita meglio di come si mescolino nella realtà. Non ci conosciamo io e te e pare inopportuno ai più dirsi cose in tali momenti. Ma credo sia la musica (proprio la stessa) e come la racconti a farmelo fare, di mandarti un pensiero vero, senza inibizioni.
“La morte è una componente della vita, come il dolore e i dolci e le canzonette e le agitazioni sindacali inappropriate”.
in questa frase c’è tutto. un abbraccio, delicato.
è bello rileggere le vostre parole, grazie davvero.