la musica che ti tira fuori da dentro

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Mamma si rammarica per non aver dato seguito a una sua idea, ovvero quella di far ascoltare a papà in cuffia la sua musica classica preferita come tentativo di suscitare qualche reazione vitale o anche solo per attivare un contatto con un elemento conosciuto, sia dentro di lui che fuori, rivolto a noi. Un appiglio per aggrapparsi al suo universo sonoro. Ero rimasto perplesso, l’impressione che ho è che l’imposizione di informazioni e stimoli esterni generino maggiore risonanza confusionale in una testa fiaccata dall’Alzheimer all’ultimo stadio. Come riempire un contenitore che già trabocca di contenuto perché dentro è riposto tutt’altro che ottimizzando gli spazi. Non possiamo sapere nulla, certo, ma sono convinto che a quel punto occorra muoversi il più possibile in punta di piedi. Lasciarlo in pace. Anche se, da questa parte, ogni segnale di cedimento è vissuto come una resa, un abbandonarsi all’ignoto, uno step di non ritorno. Ricordo che quando subii un’operazione, tanti anni fa, lasciai detto a chi mi avrebbe assistito al rientro dalla sala operatoria, ancora in anestesia totale, di provare a farmi indossare gli auricolari per testare in prima persona l’effetto dell’ascolto in condizioni di sonno forzato. Avevo preparato una compilation su cassetta con un vero e proprio supporto musicoterapico, cose che ascoltavo assiduamente ai tempi e che intendevo come sfondo sonoro per il relax. La new age e il chill out non erano stati ancora inventati, o meglio, esisteva già un genere identificabile come musica di atmosfera ma non era stato ancora categorizzato perché proveniente da ambiti diversi. Io mi ero orientato su David Sylvian e cose prodotte dalla 4AD, avete presente i vari Cocteau Twins, Wolfgang Press, Xmal Deutschland e This Mortal Coil. Rimasi deluso dall’esperienza, ricordo il lento esaurirsi del sonno artificiale e la mente in difficoltà alle prese con le complessità armoniche che avevo ampiamente sottovalutato, tanto che riuscii a spegnere il walkman con grande sollievo. Forse si è trattato solo di una questione di scelta, magari la musica classica preferita da mio papà – Widor, Bach, Buxtehude, ma anche la musica barocca e persino il jazz di Loussier – poteva generare beneficio. Io credo di no. La musica impegna la mente e costringe a tenere qualcosa di sempre acceso in background per un costante sforzo di comprensione, anche se è latente e non ce ne rendiamo conto.

4 pensieri su “la musica che ti tira fuori da dentro

  1. diamine, 12 anni sono tantissimi. Per fortuna a mio papà è durato meno, è stato più pesante vederlo appassire nel giro di una decina di mesi, un’agonia così lunga non l’avrei certo sopportata

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