Massimo aveva preso un pacco di soldi dall’assicurazione per via dell’incidente in moto. L’aveva tirato sotto un’auto in una rotonda, quando di rotonde in Italia ce n’erano ben poche prima che poi si diffondessero proprio mentre, nel resto del mondo, iniziavano a sostituirle con gli incroci tradizionali. Massimo comunque non aveva studiato nemmeno quelli abbastanza, a scuola guida. E quando dico un pacco di soldi intendo davvero una fraccata di milioni di lire, si era spaccato di tutto, bacino compreso, e vi sfido a dire che sottoporreste volentieri voi e i vostri cari a una tragedia del genere solo per poi ricevere in cambio tutta quella fortuna. Roba che poi non è che vi cambia la vita, ma vi permette di stare qualche anno in panciolle – riabilitazione esclusa – senza muovere un dito lavorando, e non è poco a meno di vent’anni.
Comunque Massimo, che era negato per ogni forma di espressione musicale, voleva sfruttare a suo vantaggio una certa somiglianza con John Taylor per mettersi a suonare il basso nel modo più semplice possibile. Ovvero comprandosi un basso uguale a quello sfoggiato da John Taylor nei live dei Duran Duran e aspettare che mani, testa e corpo nel suo insieme – avete presente il linguaggio del corpo che è un termine che mi fa venire in mente i gorgoglii della pancia come avvisaglia della dissenteria – dicevo e aspettare quindi che mani, testa e corpo nel suo insieme imparassero la tecnica dalla sola vicinanza con lo strumento musicale.
Così aveva deciso di investire un po’ dei soldi ottenuti dall’incidente, una volta rimesso in piedi, acquistando uno Steinberger, che oltre a essere una delle novità di grido del momento – il primo basso senza corpo e senza paletta, un vero e proprio moncherino – era anche stato visto in braccio proprio al suo bassista di riferimento. Ma Massimo, consapevole del suo potere d’acquisto, aveva pensato anche a uno strumento di ripiego qualora l’esperienza con il basso si fosse rivelata deludente. Un buon sintetizzatore poteva restituire quella soddisfazione di emettere suoni e note più definite e con maggior semplicità e immediatezza rispetto a uno strumento a corde, in cui al tocco certo del dito o del plettro occorre corrispondere un bloccaggio sicuro della corda con l’altra mano sul tasto del manico consono alla nota che si vuole far emettere.
Massimo così mi aveva chiesto di accompagnarlo nella scelta della tastiera, un ruolo oltremodo frustrante per me che invece me la cavavo egregiamente come musicista (ho le prove, eh) ma non avevo la possibilità di comprare nulla. La situazione è facile da immaginare: un musicista vero e squattrinato in un reparto traboccante di ogni ben di dio in compagnia di un fanfarone ricco che può permettersi tutto.
Gli strumenti musicali si compravano in un magazzino musicale della bassa piemontese che era la mecca per chi suonava. Un negozio che aveva fatto la sua fortuna concedendo rateizzazioni pluri-annuali senza pretendere buste paga a copertura o acconti impossibili. C’era addirittura un sistema di collegamento in taxi dalla stazione per chi non possedeva la macchina pagato dal proprietario del negozio, che malgrado il suo impero lo vedevi sempre dietro alle casse o a inserire dati nel computer per stampare un prospetto della fortuna che gli avresti dovuto rilasciare tramite versamenti su bollettino postale, da lì all’eternità.
Durante il viaggio in treno avevo fatto di tutto per mettere un freno all’invidia, tuttavia mi accorgevo di preferire la richiesta di consigli sulla marca e sui modelli rispetto ad altri argomenti di conversazione molto più irritanti. Massimo, nel periodo di convalescenza, era entrato in contatto con una specie di santona che gli aveva messo in testa convinzioni strampalate sul potere della mente. Si era persuaso che il solo volere fortemente una cosa ne consentisse il raggiungimento. Pur forte del mio scetticismo, ricordo di aver trascorso tutto il tragitto sul taxi gratuito concentrandomi sull’evenienza che Massimo comprasse un synth anche a me, potevo benissimo essere io nel torto e lui aver ragione.
La pratica dell’acquisto del basso si era risolta in pochi minuti. Il commesso, ovviamente competente, era in imbarazzo per tutti mentre Massimo provava qualche mossa con lo strumento sopra lo spolverino, come se quello fosse sufficiente a valutare la qualità di un prodotto professionale. Nel reparto tastiere lo indirizzai quindi sullo strumento che avrei voluto tanto per me, provandolo addirittura in sua vece. Massimo così lasciò alla cassa un assegno a copertura di tutto e ci avviamo a casa con il taxi e il treno del ritorno. Lui con la custodia del basso a tracolla, io con il Roland Alpha Juno dal quale mi sarei però dovuto separare al termine della giornata di shopping.
La storia finisce bene, se avete voglia di sapere qual è stato l’esito. Voglio dire, un po’ di quella giustizia divina o giù di lì si è manifestata qualche mese dopo. Massimo ha deposto le sue velleità di musicista di lì a breve, consapevole degli sforzi che l’apprendimento della musica da adulti può comportare. Il basso Steinberger ha comunque deciso di conservarlo, tutto sommato aveva un suo perché poggiato sul suo supporto, in bella mostra in un angolo della sua camera e in un anfratto del suo ego. Sono entrato però in possesso del suo synth a metà prezzo, mi pare proprio che me l’avesse proposto lui, troppo complesso da programmare e da utilizzare. Un Roland Alpha Juno praticamente nuovo a un prezzo da non lasciarselo scappare. Probabilmente le teorie della santona sua amica funzionavano davvero: a desiderare intensamente una cosa la si ottiene alla fine, magari in un viaggio in taxi, o magari con un po’ di pazienza perché basta aspettare, ma a me andava bene lo stesso così.