C’è anche un’altra conseguenza del trascorrere la maggior parte del nostro tempo su Internet. Poter zampettare con la massima semplicità da una parte all’altra della conoscenza del genere umano ci appesantisce del fardello dell’illusoria simultaneità degli eventi, si perde un po’ la dimensione storica del tutto e si finisce per supporre che tonnellate di informazioni a disposizione sono comunque facili da portarsi appresso sempre e comunque, tanto non pesano nulla. Una distorsione della realtà, se pensate che vivere poi, una volta poi scollegata poi la nostra macchina del tempo, muovendoci tra cose e persone con la consapevolezza del passato che vive costantemente annesso al presente è oltremodo faticoso. Ma forse è sempre stato così, semplicemente il modo in cui oggi percepiamo questa sensazione è al netto di sovrastrutture che prima una cultura – passatemi il termine – più sequenziale ci imponeva consentendoci però di invecchiare “spalmati” di una crema a protezione un milione contro i pericolosi raggi ultravioleNti della consapevolezza. Quella che oggi brucia al calore della modernità e che ci espone a tutta una serie di pericoli per il modo troppo elaborato con cui passiamo in rassegna le nostre reazioni interne a quello che ci preoccupa di più.
Non so voi, ma non ho capito un cazzo nemmeno io di ciò che ho scritto. Solo che avere un padre sofferente e, al contempo, essere un padre felice mi fa sentire come quegli ambulanti che – non so se li avete mai visti in spiaggia – che si portano sulle spalle tutta un’impalcatura che sembra un vero negozio, avanti e indietro per chilometri di costa gremita di gente in ferie. Ecco, immaginatemi così, con un ingombro fortunatamente solo emotivo, che non è una fatica fisica anche se talvolta mi sento una palla medica all’altezza dello sterno, e io che mi muovo – complice il cambio di stagione in meglio – con gli occhi costantemente inumiditi, un repertorio di musiche ad alto tasso di sconvolgimento interiore, pronto a cogliere segnali di empatia con la natura circostante: il vento, il profumo dell’erba tagliata, il passaggio tra la penombra e la luce della primavera. Eccolo qui, il peso da portare sulle spalle come uno zaino che se non ci stai attento ti rovina la spina dorsale. Che vi devo dire. Non c’è cura, non c’è rimedio, non si può rimandare nulla.
Come quell’ovosodo che non va né su e né giù (citazione pop) 🙂
No, non si può rimandare nulla, un abbraccio a te.
giusto, molte delle mie riflessioni potrei tranquillamente riassumerle con parti di quel film, che ho apprezzato molto