Quando siamo assorti o sovrappensiero abbiamo tutti la stessa faccia, poi dentro le cose cambiano, è facile anche scambiare la trance da preoccupazione in cui si cade con un banale pseudo-svenimento da sonno o il classico non sto pensando a niente di cui i maschi sono spesso accusati dalle partner nei momenti in cui, invece, ci si dovrebbe figurare il futuro di vita insieme. Ma sappiamo tutti che è impossibile non pensare a nulla, e negli spazi pubblici, un treno, per esempio, se si potessero amplificare le elucubrazioni con qualche sistema che sono certo prima o poi sarà inventato, ci sarebbe un chiasso che sancirebbe l’estinzione di chi vuole semplicemente leggersi qualche pagina di un buon libro. Ma magari quando ci sarà quel domani i libri li avranno bruciati tutti, secondo come andranno le cose. Ci sarebbe comunque di tutto. Qualcuno che ripercorre l’esito della serata precedente o che pianifica la successiva, ovvero pensieri che sanno di freschezza e gioventù, di amori in formazione o di rapporti logorati ma facilmente intercambiabili, e come biasimarli. La scansione mentale dell’agenda della settimana, se è una mattina come questa di lunedì, gli impegni che scendono come blocchi colorati di videogiochi in cui gli incastri ti fanno guadagnare punti e di conseguenza le speranze di accelerare l’arrivo del fine settimana il più vicino disponibile. “Che cosa gli preparo stasera?”, ci sembra di sentir domandare a interlocutori invisibili da riflessioni mica tanto scomposte. Ma ecco che su tutti si vede una specie di astronave come quelle che ingombrano gli schermi cinematografici, con quell’effetto che sembra che ti passi sopra e il rumore che poi non ha senso, è un errore, nel vuoto dello spazio astrale i suoni non si trasmettono. Lì dentro, in una specie successione di gradi di separazione tra l’individuo e la catastrofe, ci sono un padre molto anziano con un principio di Alzheimer, una causa legale che si trascina da anni, le paure per il futuro di una figlia, la precarietà di un sistema globale che si avvia al collasso, i Maya e le cavallette e puf. Un soffio di vento spazza via quella coltre di proiezioni, uno dei tanti assorti si riprende, qualcuno gli ha chiesto un’informazione, ed è meglio così. Siamo già in tanti e alla fine, a pensare troppo, manca l’aria.
Ciao Plus, che bello questo post 🙂 Se ciò che descrivi avvenisse, sarebbe il caos assoluto, la fine del mondo sociale, perchè ognuno per non essere travolto dai pensieri altrui e per un po’ di privacy, tenderebbe a cercare luoghi isolati… A questo punto, visto che i luoghi appartati diventerebbero mete agognate e super desiderate, qualcuno penserebbe bene di inventarsi qualche tassa da applicare ad essi. Magari la chiamerebbero “la tassa sulla solitudine”.. 🙂
Tra l’individuo e la catastrofe…un giorno mi spiegherai come fai a scrivere cose così perfette.
Che bello questo caos. A me fa sorridere sempre, ché io sono una di quelle che, cuffiette alla mano, si fa sommergere dai pensieri vaganti (e sono solo i miei, immagina se sentissi anche quelli degli altri), soprattutto quando sono sui mezzi. A me piace pensarlo, questo caos, come una similitudine silente che ci avvicina tutti, anche se ognuno nella sua testa, pensando le stesse cose dei suoi vicini, si starà di sicuro dicendo ‘ma perché solo a me…’.
No, ti prego! A parte che se i pensieri dei viaggiatori ferroviari fossero udibili mi toglieresti il divertimento di indovinarli, ma sai che pazzia sarebbe?! Non ne uscirei viva, o almeno sana
c’era un bellissimo post a questo proposito che ti segnalo http://sempreunpoadisagio.blogspot.it/2013/06/quello-che-farei.html
Grazie! Corro al link.. 🙂
Grazie ancora, hai sempre così tanta attenzione per me.
una visione un po’ cyborg, potrebbe essere una bella storia sci-fi, no?
però sai quanti post