se ci sembra che la vita ci stia stretta è sicuramente un problema di compressione video

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Quando lavoravo con un programma basato su una timeline, un applicativo non molto differente da quelli più comuni utilizzati tutt’ora per l’editing video o per elaborare animazioni grafiche, mi fermavo spesso a immaginare una analoga rappresentazione visuale del divenire multi-dimensionale. Un sistema in cui tutto poteva essere osservato sin nel millesimo di secondo da vicino a piacimento di qualcuno o qualcosa, tendenzialmente un ingegnere o un visionario di gran lunga superiore persino degli sviluppatori di quell’ambiente software che comunque era limitato e soggetto a fattori quali la potenza del processore della macchina su cui era installato, la perizia di chi era chiamato a smanettarci sopra, il sistema operativo stesso, sapete, l’antica dicotomia tra Windows e MacOS. E di certo non riuscivo a spingermi al punto da riuscire a definire l’esatta o la sufficiente mole di risorse da impiegare per una cosa del genere, in cui in ogni singolo fottuto frame vedi tutto, da Barack Obama che ruota di un miliardesimo di grado la testa che ha percepito lo squillo del telefono rosso, quello che lo collega direttamente con la NSA che di questi tempi dev’essere rovente, fino alla tua vicina che stirava in mutande due estati fa sul balcone, un cane che fugge impazzito dal terrore al primo istante di scossa a Pompei quel maledetto giorno funesto del 79 d.C. o una partita a scacchi telepatici tra due sfidanti del tremilaventi, uno nell’agglomerato del Nord l’altro sul pianeta Vicks Vaporub a qualche migliaio di anni luce di distanza. Bella storia, anche se piuttosto banale, voglio dire non sono certo il primo ad averci pensato e ci sarà tutta una letteratura fantascientifica più celebre ma dovete perdonarmi, non sono un amante del genere. Però sapete com’è, a scrivere uno dà voce a cose che altrimenti probabilmente non direbbe mai a nessuno.

Comunque, tornando al nostro modo di vedere le cose, se provate a immaginare un pannello di controllo così con qualcuno pronto a intervenire in caso di avaria, anche un semplice black-out – e chissà se nel passato non sia già successo – viene spontaneo spaventarsi un po’ e riconsiderare il valore delle cose ferme e immutabili di cui siamo circondati. Quelle di cui hai impostato una geolocalizzazione o anche un semplice posizionamento nella tua camera da letto e ogni sera prima di addormentarti e ogni mattina prima di svegliarti le vedi sempre lì. Ora scusate se parlo ancora di me, lo so che magari voi nel blog cercate informazioni e notizie più varie e interessanti rispetto al personal branding – non è colpa mia se si chiama così – dell’autore, ma vi assicuro che una delle paure più irrazionali che avevo da piccolo era proprio quella di vedere improvvisamente qualcosa di diverso negli ambienti famigliari che precedevano e seguivano alla notte. E tutto perché ero rimasto impressionato da uno di quei sceneggiati – di ottima qualità, peraltro – in bianco e nero che erano in voga ai tempi su uno degli unici due canali televisivi disponibili. Una scena in cui compariva un’urna cineraria sul comodino della protagonista (che potrebbe tranquillamente trattarsi di Daria Nicolodi) durante la notte. Non chiedetemi il perché, non ricordo altro.

Per questo mi piace avere davanti e a lato degli occhi sempre lo stesso “sfondo”, come ormai diciamo a proposito dei nostri pc. L’armadio con le porte chiuse di fronte al letto, la lampada e il libro a fianco, mia moglie dall’altra parte, la tapparella a metà per favorire un po’ di luce eccetera. L’immobilità, il fermo-immagine, ciò che con quel software di cui parlavo prima si può ottenere portandosi da una estremità all’altra della timeline per posizionarsi in un fotogramma preciso, mi restituisce l’illusione che la mia vita, che fino a prova contraria è delimitata da due marker uno a 00:00:00 e l’altro spero il più distante possibile dall’indicazione iniziale, possa essere un elemento da dare per scontato e autosufficiente, in grado di sapersi mantenere costante malgrado c’è tutto un insieme di cose di una grandezza incommensurabile che si sta muovendo per andare chissà dove, da una parte a l’altra e lungo assi che non possiamo nemmeno immaginare. Dev’essere questo che spinge molti di noi, soprattutto di sesso femminile, a cambiare mobili e le cose in essi contenute di posto, di sovente a insaputa degli altri – i mariti, per esempio – per un motivo che ancora non mi è chiaro ma che forse va analogamente ricercato proprio in questa sete di potere. Avere l’ambiente in pugno e soddisfare il fatto che in realtà ogni giorno siamo diversi dal giorno prima e che quindi è giusto che le cose cambino con noi, in peggio o in meglio non lo so, e che non c’è nessuno che ci osserva dall’alto, che una volta spento tutto tira le somme o forse semplicemente siamo vittima di una serie infinita di noi stessi che si spostano a nostra insaputa ma non sappiamo definire in che modo.

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