Una delle espressioni che presto cadrà in disuso e che già quando la dici oggi in presenza di qualche rappresentante (suo malgrado) della generazione digitale ti guarda come se parlassi in gaelico è quel “sbattere il telefono in faccia” o “buttare giù la cornetta” della cui obsolescenza, in tempi di smartcosi, converrete con me. Nessuno colpirebbe mai qualcun altro lanciandogli un pezzo da sei o settecento euro sul naso, che magari è più facile che si rompa il dispositivo più che l’altrui grugno, né ci sono più cornette da far cadere con violenza verso il basso. Interrompere una chiamata, di questi tempi, non dà più la stessa soddisfazione del gesto violento fatto ai danni di un Bigrigio o di un Sirio tra le mura domestiche, oppure con uno di quegli indistruttibili Rotor – quei madonnoni color rosso mattone arancio utilizzati nelle cabine pubbliche – in ambienti outdoor tra lo sgomento generale di chi stava a sentire le conversazioni concitate altrui, magari nella calca de posti telefonici a pagamento che usavano anni fa. Ora è sufficiente dare una ditata sul touchscreen dei nostri piastrelloni e occorre pure misurare l’impeto perché una volta che sono rotti, se proprio non si vuole ricorrere agli artigiani di via Paolo Sarpi o altre analoghe chinatown se non siete di Milano, sarete costretti a sborsare un altro capitale per sostituire l’intero pezzo giacché portarlo a riparare costa una follia e in più, nel frattempo, il vostro modello sarà già considerato tecnologicamente superato.
Resta però fuori discussione che l’essere colui che interrompe brutalmente una conversazione diciamo burrascosa, e di questi tempi le conversazioni telefoniche – e anche quelle burrascose – sono quasi esclusivamente di dominio pubblico perché la mobilità dei dispositivi ci induce a usarli mentre facciamo altro o nei momenti morti come i trasferimenti da un posto a un altro, non implica il doversi giustificare per la cattiveria infierita. Intanto perché la vittima non si vede, e gli spettatori del vostro show parteggiano emotivamente per l’unico protagonista visibile e cioè voi che avete diritto di vita e di morte su chi vi sta facendo alterare. Di segno opposto quando siete voi le vittime, ovvero quando vi hanno “sbattuto il telefono in faccia” e siete in pubblico, giacché è un onta il dover riconoscere la sconfitta e passare da una turbolenza sonora verbale al silenzio assoluto preceduto da numerosi e reiterati “pronto? pronto?” di disperazione, momenti durante i quali noi curiosi ci guardiamo con quello stato d’animo per cui siamo consapevoli che non poteva altro che finire così.
Quindi scende l’imbarazzo, la vittima al limite può fingere e lamentarsi con la compagnia telefonica di turno sul fatto che è caduta improvvisamente la conversazione, lì magari non c’è campo ma non se la beve nessuno, state sereni. Il mio suggerimento, lo so perché l’ho provato io una volta ed è un escamotage rodato e funzionante, ve lo assicuro, è quello di far finta di continuare il dialogo approfittando per riportarlo su binari di civiltà, per così dire, recitando la parte di chi sta convincendo l’interlocutore alle proprie ragioni mentre l’interlocutore, di là, sta già facendo altro. Quindi ci si saluta con un benaugurante “ne parliamo più tardi, che ne dici?”, la gente intorno si tranquillizza, qualche volta parte pure l’applauso come quando il pilota compie un atterraggio da manuale.
Ma te l’ho già detto che sei un genio? Che post!
E alla fine, quando il tempo scarseggia, quando ti manca un po’ la voglia, quando fuori “passa le corse” e hai poca voglia di stare davanti al monitor succede che leggi solamente i più bravi, ma loro sì.
Ecco “chapeau” è un termine tanto inflazionato e io credevo proprio di detestarlo… però accipicchia se ci sta bene! chapeau!!! 😉
che miss! 🙂
hombre, sono onorato. Anzi, Onorato.
sciapò è un bella parola da leggere nei propri commenti, grazie infinite
E che te lo dico a fare? Poi si diventa monotoni.
Scritto coì fa quasi pensare a una caduta con scivolata, ma è più simpatico:-) Sciapò