Vivere la casa è creare spazio per la vita di tutti i giorni. La nuova edizione del catalogo Ikea inizia così, introducendo il tema che è un po’ la fatica che ci portiamo appresso e che non riusciamo mai a riporre in alcun luogo perché è la vita stessa di tutti giorni a non avere nemmeno uno spazio organizzato rispondente a un modello svedese. Le prime esperienze abitative, in questa nuova narrazione dell’impiallacciato, anticipano subito una trama che si sviluppa in un unico piano monodimensionale. Ambienti rappresentati solo per un lato che sembra infinito, popolato di bimbi che giocano o che guardano la tv mentre gli adulti riposano il sonno delle grandi responsabilità e delle scelte, certi che nessuno corre pericolo se lo show room della modernità è uno spettacolo a porte chiuse ma sempre ben allestito.
Dietro a fondali e paratie che dosano quell’ingrediente iper-reale che sapienti architetti stemperano lungo una visione platonica delle idee domestiche, da questa quinta volutamente minimale fanno capolino stampe con gatti giganteschi e bici posteggiate a cazzo perché quello che si ha per le mani è un catalogo, attenzione. Una sintesi delle possibilità di ravvisare il proprio sé e liberarlo dalla dipendenza del tasso di grancasa di cui siamo permeati, come metafora della resa e del compromesso. Ma dove si nascondono i protagonisti di questa nuova avventura, sfuggiti al mondo della convenienza? Essi sono solo comparse in stanze stipate di cose in istantanee fuori fuoco a ricordarci che una qualsiasi superficie sguarnita richiama una riflessione. Chi siamo? Saremo in grado di montarlo? Perché la birra Ikea costa quattro euro?
E ancora, cosa è un vuoto? Una porzione di essenza in meno, un oggetto in esposizione che qualcuno ha sottratto ignaro che lì non si deve toccare nulla e occorre invece attendere la discesa al piano inferiore, là sotto dove man mano che si avvicinano le casse ogni acquirente lascia dietro di sé sempre più copiose tracce della serenità, sogni di socialismo reale del benessere applicato all’individualità in quella allegoria della casa, che è la casa di tutti e che a tutti ha infuso una speranza di luci, colori, jingle, dispositivi elettronici non funzionanti ma a prova di italiano, libri in brossura di autori dai nomi impronunciabili.
E anche nella nuova edizione le novità sono sempre molteplici, in questo spaccato di società scandinava che trasuda da carte da parati, tendaggi mitteleuropei e stampe industriali a finto rischio di omologazione. Volti nuovi da idealizzare – prima che i nostri figli non ci facciano chiamare dalla zona giochi con il sangue dal naso – mescolati ai protagonisti ormai costanti della nostra vita, il Billy come il Besta o l’Expedit che un po’ come i nostri migliori amici o le persone che davvero ci stanno a cuore sembrano condurci anche questa volta verso l’epilogo. Che però non è un epilogo perché il catalogo non ha una fine ma un perpetuo ritorno alla partenza nel labirinto dei passaggi non segnalati tra i reparti, qui reso in forma di elenco di tutti i prodotti in ordine alfabetico. Una sorta di meta-titoli di coda preceduta da un tripudio tanto multietnico quanto utopico con colte citazioni nell’appendice gastronomica a tema.
Ma non c’è da sorprendersi, anzi sì. Sorprendiamoci. Un giudizio ampiamente positivo per questo nuovo capitolo di una saga che da anni porta un po’ di Stoccolma nel nostro sdraiarci nell’ozio, nel vivere sogni agitati della settimana lavorativa, mentre ci sforziamo per andare di corpo o come scenografia per una cena romantica. Il nuovo catalogo Ikea si conferma così un altro pezzo della storia delle nostre vite, quella pennellata di giallo e blu che ci fa sognare che anche se siamo in milioni, ogni domenica pomeriggio, a riempirci il borsone di plastica di cose e matite e fogli a righe e metri di carta che chissà se useremo mai. In fondo c’è qualcuno lassù che ci ama davvero e che è prima di tutto è un architetto d’interni. Precario, ma questa è solo una boutade.
Io ti darei il nobel. Non so per cosa, ma te lo darei
Di’ quello che vuoi, ma io ADORO L’IKEA. Quando arriva a casa il catalogo sono tutta uno sbav sbav e lo frego a mia mamma prima che possa guardarselo. Che poi io una casa non ce l’ho nemmeno. E in effetti le case IKEA sono invivibili, se ci pensiamo. Però è tutto fantastico perché è un paradiso ideale. Una casa dei sogni, ecco, sì, dei sogni.
Noi sono anni che cerchiamo di boicottarla -che fa molto radical chic- ma poi sopra i 50 euro da spendere finisce che ci cadiamo. Sempre. E uno dei due progetta interni che non potrà mai permettersi.
😀 e io ti darei un abbraccio perché è davvero un piacere avere i tuoi commenti
no ma infatti, non fraintendermi: anche io adoro l’Ikea. E’ che mi toccano sempre visite nei fine settimana, tra i milioni di clienti che vi si riversano (almeno qui dalle mie parti). Mi trascinano con la forza, quindi mi sfogo con l’ironia.
Io ho cambiato già almeno una decina di lampade in carta di riso, vittime preferite dei miei due gatti. Da nessun’altra parte si trova un rapporto qualità-prezzo-design migliore, quindi è giusto così.
No ma infatti l’IKEA è una delle cose su cui si può ironizzare 🙂