nel giorno più felice dell’anno

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Ma se siamo persino disposti a pagare, e profumatamente, per una manciata di giorni in questo stato di libertà vigilata spesso con la condizionale in cui ci possiamo liberare finalmente di tutto. A partire dai vestiti, quelli veri, che lasciamo appesi nelle cabine armadio di città, puliti e stirati e pure con lo spray anti-tarme per la stagione successiva mentre ce ne stiamo liberi a girare per le nostre favole in mutande, come diceva quel tipo strano negli anni settanta, e vivere alla grande solo con un sottile strato di tessuto tecnico a elevata impermeabilità che ci separa dalle stelle e dalle cicale che ad alcuni fa senso pure l’idea di trovarsele nel giardino condominiale. Organizziamo con dovizia questo perentorio allontanamento dalla società fatta di fidelity card, di conference call, di centri di illusorio benessere e poi ribaltiamo tutta la nostra scala di valori pronti all’uso per farci camminare addosso dalle formiche, abbattere drasticamente persino il parametro regolamentare di livello standard di igiene intima sorvolando sulla sabbia residua che si attacca alle caviglie mentre realizziamo che c’è tutto un pianeta da scoprire che non conosce il significato del bidet, tanto per fare un esempio. E allora non è vero che siamo così avanzati se risparmiamo per investire in un regresso legalizzato alla barbarie delle convenzioni di vicinanza al prossimo, lo stesso che siamo disposti a raggirare sul turno a una pompa di benzina mentre poi, allo stato brado coperti solo da pareo di dubbia provenienza, siamo tutti un mi scusi qui e mi scusi là mi presta il martello e prenda questo residuo di detersivo che tanto oggi partiamo e ci spiace buttarlo. E non credo che sia rilassatezza ciò che ci spinge a canticchiare melodie che altrove ci indurrebbero a uno spietato zapping radiofonico, canzoni non di altri tempi ma di più, come la rumba delle noccioline – vi ho sorpreso, vero? Quanti di voi conoscono la rumba delle noccioline?- o una gaberiana come è viva la città che tradisce chi la fischietta lavando i piatti, che sotto sotto gli mancano gli agi del campionato sulla tv a pagamento, gli all-you-can-eat con il cibo spazzatura della peggiore cucina cinogiapponese o la sensazione delle scarpe bagnate dal temporale indossate per otto ore in ufficio con colleghi che per lo stesso motivo odorano di quella fragranza che sa un po’ di selvaggio. E anche se sempre più capita di assistere a veri e propri innesti della civiltà grazie a dispositivi elettronici a batteria che ti consentono di controllare le e-mail di lavoro anche in cima alle Dolomiti o giocare a Candy Crush in spiagge raggiungibili solo con fuoristrada – quelli veri, non certo quei cassoni da burino che lasciamo in doppia fila con le quattro frecce per ingollare noccioline zeppe di germi al bar sotto casa -, se è vero che non ci importa se il tetto massimo della nostra carta di credito a un certo punto he bisogno di una bella ristrutturazione perché è solo in vacanza che non ci interessa di separarci dal nostro denaro, ecco che ci chiediamo straniati e ce lo chiediamo perché non è una domanda retorica, è un mistero a cui nessuno è mai riuscito a dare una risposta razionale e dimostrabile, ci guardiamo tra di noi e ci chiediamo perché cazzo non si possa sempre vivere così, seminudi all’aperto e al caldo, a tirare sera come se non ci fosse un domani.

7 pensieri su “nel giorno più felice dell’anno

  1. Io ci ho vissuto tre settimane così e mica mi ero stancata. Forse dovremmo rivalutare il nostro stile di vita, che le cicale non sono poi male e se sentiamo la necessità di rifondetci con la natura una volta l’anno, qualcosa vorrà pur dire… Ma non la conosco la rumba delle noccioline.

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