Non è che uno può cominciare a vestirsi business così, da un giorno all’altro. Il business lo hai dentro e qualunque cosa tu metta sopra quella scorza frutto di millenni di evoluzione per trasudare business, se il business non fa parte della tua natura il corto circuito è fatale. Ora guardati allo specchio. Sei business già nela forma del cranio e, nolente o volente, nel taglio e nell’acconciatura dei capelli. Sei molto business se sei pelato, ma lo se ancora di più se hai il ciuffo di quel grigio chiaro e uniforme che viene solo alle personalità business, sopra ciglia che una volta erano bionde e occhi rigorosamente non marroni. Che banalità. Tutto il resto non è business comunque. Basta una pettinatura corta e la barba di quelle che crescono male, anche uniformemente ma con il pelo che resta perpendicolare alla faccia e sembri un anziano poco di buono dei cartoni animati, anche se hai quarant’anni. E ci sono pure le spalle, il torace, l’addome, i glutei e persino le cosce business, tutte componenti che dentro un abito business lo riempiono e ne completano i volumi. Infatti non è che tutte le persone che ostentano la propria “businessness” sono realmente business, non è che hai i soldi entri alla Coin, ti metti un vestito di sartoria a quattro cifre e puoi considerarti business. La pancia davanti, le gambe storte, la schiena curva, sono cose che è difficile da nascondere ma tra persone business ci si passa sopra, non sarebbe infatti business se non ci fossero di mezzo i soldi e il potere d’acquisto. Se i soldi non ce li hai sei fuori dai giochi. Puoi anche provarti lo stesso Hugo Boss che è in esposizione sul manichino ma ancor prima di pensare a quanto cazzo costa ti spogli nel camerino e i vestiti vecchi che appoggi sulla panchetta sembrano un cumulo di cenci prossimi al falò. Allora ti si sgonfia una parte dell’insieme, una componente di quelle che dicevo prima e che generano i giusti volumi per cui sei fiero di aver usato la carta di credito – spalle, torace, addome, glutei e persino cosce – e magari noti l’alluce valgo che spunta e fa capolino insaccato nel tubolare di spugna dal fondo dei pantaloni canna di fucile abbondanti sui piedi, che dovrai chiedere a tua madre o a tua suocera per l’orlo, mentre da ragazzo chiedevi alla zia o alla nonna. Ecco, questo per dire che il quadro non è business, proprio per un cazzo.
Quello è il punto di rottura, tanto che alla fine ti focalizzi sul tuo orgoglio casual business, che non è business è può dare adito a tante interpretazioni quante sono le individualità del nostro tempo. Anche le Geox, anche Robe di Kappa negli stock che finiscono nei reparti abbigliamento della Coop, anche i Rica Lewis, per intenderci. Tutto. Casual business è business di risulta. Meno dell’entry level, quasi una sottomarca. Casual business alla tua maniera, perché non hai mai posseduto una Lacoste in vita tua. Nonostante ciò, nulla può demolire la tua certezza casual business, nemmeno la partecipazione a una cena di business puri con tanto di business ineleganti e di informalmente business. Una cena di lavoro, se no che business sarebbe, ripeto. Una cena in cui ti chiamano a rilasciare la tua dichiarazione su un podio al microfono, e il presentatore osservandoti in maniche arrotolate di camicia per il caldo e senza cravatta sottolinea il fatto che tu rappresenti il tuo business in modo molto molto informale. L’asta del microfono poi è molto bassa, e la curva casual business della tua schiena non dev’essere un bello spettacolo, come la voce che, parlando così velocemente, non sarà arrivata comprensiva a nessuno. Così, mentre torni al tuo posto ancora casual business e prima di ritornare clamorosamente anonimo, pensi a tutti i posti in cui sarebbe meglio essere. Senza vestiti. Tenendo conto però che anche gli aborigeni, nella loro nudità, a modo loro alcuni di essi sanno essere molto business.
Un business normale o da sogno?
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