Ci sono i giorni in cui tutti ci sembrano più alti. Non vi capita? Arrivano due che si presentano, ti stringono la mano e ti sembra di vivere in uno di quei videoclip in cui la telecamera riprende dal basso. Anche se sei uno e ottantacinque come me ti viene da guardare in su per rispondergli. Tutti giganti ed è per questo che la conversazione è poco agevole. Ti viene persino da assumere la postura quella che si adotta con le autorità per non dare l’idea che hai l’intenzione di soverchiarle. Ti viene da rannicchiarti un po’ e magari non ce n’è una ragione. Sono tutti così sicuri e ti chiedi che cosa è successo prima che arrivassi tu, magari c’era un meeting interno tra demiurghi comprensivo di ricarica reciproca di autopercezione finale e quando è stato il tuo momento sei stato vittima dei primi spruzzi, come quando attivi il rubinetto e nel tubo c’è troppa pressione. Vivere da normodotato nella società dei titani non è poi così difficile se ci fai l’abitudine e adotti qualche tecnica di allungamento della spina dorsale come stretching per ovviare alla lordosi. Questi che ti parlano e tu che ti perdi nell’osservare le vette che a te non è stata data la dignità di scalare, dalla cima arrivano le voci e discorsi che non fanno una grinza indipendentemente dall’ambiente in cui ci si trova, a casa loro o in un campo neutro. Ma il rischio è di sopravvalutarli, e quelli sono ancora giorni diversi. Il ricordo della grazia ricevuta invita a idealizzare pensieri e opere altrui, ci si sente beati di luce riflessa e si cerca di far fruttare gli insegnamenti. Cerchi le loro emanazioni in rete, perché in rete ci sono anche loro, ma lì ecco che si rovina l’incantesimo. Nella relazione asincrona questi dispenser di saggezza globale non rendono. Perché le parole volano e i tweet rimangono molto più che nelle pagine scritte. Al terzo commento il gioco è finito, l’aura luminosa si spegne come una lampada Ikea di quelle più economiche, le vibrazioni si stampano contro il vetro infrangibile che è il monitor del pc dall’altra parte, indipendentemente dai cristalli liquidi, dall’hd e persino dalla risoluzione. Dovremmo ricordarci però di tutto questo, parlo per me perché so che voi lo fate già. Dovremmo ricordarci di tener la schiena dritta quando si conosce qualcuno, se poi siete spilungoni come il sottoscritto sono sicuro potreste avere delle belle soddisfazioni.
pensa a me che sono “alta ” uno e sessanta! 🙁 tuttavia, quando conosco qualcuno/a che mangia spocchia a pranzo tutti i giorni, lo immagino non a cinguettare sciocchezze sull’albero della rete, piuttosto a fare quelle cose che solitamente non si raccontano in giro… nel caso di persone “pubbliche” può risultare dissacrante, ma ti restituisce una immagine più terrena e normale delle stesse – pensa, chessò, a napolitano appena sveglio che si gratta la pelata e comanda o clio che lo sveglia alla maniera del teatro di eduardo
Pensa a me che sono basso uno e diciotto (però con gli anni il senso di inferiorità, talvolta ingiustificato, è andato a diminuire al punto che ora punto all’epitaffio: “Fu superbo, ma troppo tardi”)..
Non raggiungere il metro e sessanta mi fa spesso guardare le persone dal basso verso l’alto. Nel tentare di compensare questo deficit, che è anche metaforico di una condizione socio/culturale originaria che ti vorrebbe sempre “bassa”, ho imparato a tenere la schiena dritta. Così spesso vengo scambiata per superba da alcuni, spavento altri, rimango bassa per gli terzi. Una volta compreso il meccanismo ho optato per un bel “chi se ne frega” e sto come mi sento di stare. In fondo i vantaggi dell’essere bassi sono innegabile e con una scala si posso sempre raggiungere altre vette.
il tuo è un approccio vincente
anche perché, come realista militante, non posso altrimenti! 😀
puoi sempre redimerti e superare te stesso in tempo, non è ma troppo tardi
io invece non ci riesco, complice anche lo studio del pianoforte che ti curva la schiena e ti fa protendere verso il basso, sopratutto se sei una mezza calza come me