Lo sapete, vero, che quando vostra figlia avrà setto otto o nove anni sarà già il tempo dei patteggiamenti e delle contrattazioni per fare questa o quella cosa, visitare questo o quel posto, decidere quale sia la più opportuna lista delle priorità? Questo non significa che non riuscirete a imporvi o che sarà necessario per forza di cose esercitare il potere genitoriale o sfoderare le armi ricattatorie più opportune, magari non è il caso vostro e di fronte a esigenze banali come portare a termine una commissione urgente farà le spallucce o alzerà gli occhi al cielo dichiarando la sua netta preferenza per rimanere incollata al libro che la sta incantando ma poi si convincerà senza nemmeno il bisogno del rinforzino ludico o del gelato a tutti i costi. Dinamiche che dipendono da quanto siete attendibili e autoritativi e da come avete abituato i vostri pargoli.
Per esempio noi facciamo una fatica bestia perché fondamentalmente siamo stati troppo permissivi nel conferire il potere di mediazione, se poi vi capitano caratterini determinati magari in un contesto di figlio unico ecco, se siete ancora in tempo il mio suggerimento è di non lesinare in fermezza e in irreversibilità. Se una cosa va fatta, quella è e non ci sono cazzi. Con mia figlia si fa una fatica enorme nel persuaderla a mettere il naso fuori di casa nel fine settimana, capisco che qui intorno non sia Colle Val D’Elsa ma qualcosina da vedere o fare la si trova, e ogni volta finisce che metto su la voce grossa e riusciamo a portarla fuori ma con il broncio.
C’è anche un motto che è quello famoso della proporzionalità diretta tra le dimensioni dei figli e dei problemi congiunti. I tempi della prima infanzia in cui i bambini sono poco più che cuccioli che prepari e vesti e li porti dove vuoi finiscono che manco te ne accorgi, quando si riescono a prendere per mano mamma da una parte e papà dall’altra e loro in mezzo che uno, due e tre e oplà fanno il salto in avanti. A ogni ora a spasso e alle nove del mattino al parco giochi con il primo sole, quando non c’è ancora nessuno a quello dei più piccoli con gli scivoli che ti metti in fondo ad aspettarli perché non si sa mai e le spinte sull’altalena infinite con la complicazione della storia da raccontare se non ci sono coetanei in giro con cui interagire. Che poi io speravo che fosse così proprio per stare soli io e lei perché era il nostro tempo, e stare con gli altri sarebbe venuta prima o poi l’occasione. Non che adesso sia meno coinvolgente, però è molto più difficile e comunque si arriva un po’ più vecchi, anche se poco, un po’ più stanchi, e questo dipende dal lavoro e dalla forma fisica. Di certo non riesco più a tenerla sulle spalle come facevo un tempo, oramai è una ragazzina e la mia schiena non lo accetterebbe più anche se l’amore con cui lo farei giustificherebbe il dispendio di endorfine a tutela dello sforzo compiuto. Il guaio è che ci viene naturale spiegare tutto, motivare il perché dobbiamo andare in tal posto e lei non può certo stare da sola in casa o andare altrove, anche perché poi per noi è sempre bello fare tutto tutti insieme.
D’altronde c’era da immaginarselo che sarebbe continuata così la storia, che quel complemento della volontà genitoriale si sarebbe evoluto in un essere di grado superiore, con desideri ed esigenze proprie. Resta la reminiscenza di quei quadri imperfetti di allora, due adulti e un pezzo in composizione con tutta la sua modalità di comunicazione tutto sommato facile da interpretare malgrado il linguaggio primitivo e non ancora compiuto, nel silenzio delle stagioni come questa quando non si sono ancora manifestate con certezza ma si vuole dimostrare lo stesso che c’è un ciclo, che la primavera è la natura che fiorisce, che c’è la vita che aspetta dietro quelle nuvole da qualche parte anche se non si direbbe.
E’ un equilibrio difficile, quello fra possibilità e necessità proprie e altrui. Ai bambini piace scegliere ed è giusto che imparino a farlo, ma è anche vero che, a volte, la responsabilità di una scelta, per loro, è troppo pesante e difficile e quindi tocca all’adulto. Bisogna fare i conti anche col fatto che, ad un certo punto, si vuole vedere “come va a finire” e fa niente se si rovina la propria e altrui vita con musi, bronci o litigate. E’ un modo per testare la consistenza di quello che li circonda e anche la propria. (“Quanto resisto con l’arrabbiatura?”)
Noi abbiamo iniziato a discutere con nostra figlia a due anni, nello scegliere i vestiti per andare al nido. Poi la situazione è peggiorata. 🙂 Buona fortuna!
non sono pentito del dialogo che ormai è un’abitudine, è solo che bisogna educare al senso della misura nella discussione, aspetto in cui forse abbiamo esagerato