Quando uno muore si trova sempre nei giorni a ridosso del funerale qualcuno che sostiene che l’interessato, o meglio il defunto, non è che sia poi morto veramente. Non sto parlando di Elvis Preslely, Bob Marley, Adolf Hitler, Moana Pozzi e tutti gli altri intorno ai quali aleggia il mito della morte auto inflitta per tornare all’anonimato, il cosiddetto suicidio della celebrità, non mi riferisco a questo tipo di sugna per giacobbiti. Solo che c’è spesso qualcuno che è sicuro di vedere la persona che non c’è più che invece c’è, ed è lì a fare qualcosa. Qualcuna delle attività che amici e parenti erano abituati a vederlo svolgere per occupare le sue giornate, raramente invece al lavoro, dietro a una scrivania, al telefono a convincere un giornalista a partecipare a una conferenza stampa. Qualcosa per la quale la persona mancata sarà ricordata dagli altri. Ecco, lo vedo ancora che si aggira lento per la casa in ciabatte con le cuffie wireless calate sulle orecchie che usava per seguire il telegiornale, era un po’ sordo e altrimenti avrebbe disturbato i vicini ma doveva alzarsi per la prostata ogni due per tre, dice uno. Rientro a casa e lo vedo ancora lì seduto in poltrona con i suoi raccoglitori di francobolli in mano, tira fuori i pezzi più rari e controlla se i dentelli ci sono ancora tutti. Li controllava uno ad uno, ed erano operazioni che lo inchiodavano nelle mura domestiche senza limite di continuità, dice l’altro che però si è tratto in inganno usando il tempo imperfetto che fa male alla memoria e fa male ai sentimenti, di conseguenza. Entro al bar e lo sento ancora che litiga con il suo compagno di carte perché è distratto ma è l’unico che gioca con lui e ora, davanti al compagno, il capo squadra non c’è più ma a me sembra che non si sia mosso di lì, dice un terzo. Insomma, il tanto vituperato quarantasette a.k.a. il morto che parla è in fondo qualcuno che ha lasciato se stesso dentro di noi per far sì qualcosa rimanesse anche in sua assenza. Quindi, dichiararlo passato a miglior vita a tutti gli effetti, ci penserei due volte e, almeno, più di tre giorni. Sapete, la politica fa miracoli.