abbasso il tre

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Ogni tanto rimprovero con la dovuta amorevolezza mia moglie e mia figlia perché in alcune occasioni non sono sufficientemente pazienti. Forse è il modo in cui viviamo, non noi della mia famiglia ma noi in generale, noi abitanti del mondo occidentale che siamo abituati ad avere risposte alle nostre ricerche in 0,14 secondi e rotti grazie ai motori di ricerca al fulmicotone e grazie a Internet. Grazie al pulsante on/off della tv, alle auto che non serve più a nulla dover lasciar scaldare il motore, alla canzone che ci piace che non dobbiamo più aspettare che prima o poi la trasmettano in radio per sentirla. I frutti di stagione che non dobbiamo più attendere la stagione, tanto è sempre estate o autunno o primavera o inverno da qualche parte nel mondo.

Questo accorciamento globale che ci fa sentire tutti come quella fatta di elastici che faceva parte dei Fantastici Quattro, ci allunghiamo e arriviamo subito ovunque. Con il pensiero, perché abbiamo il nostro prolungamento elettronico, anzi più di uno. Con le gambe, perché per compensare il fatto che abbiamo importato tutto il mondo in casa nostra per consumarlo tirandolo fuori fetta per fetta dal congelatore per poi passarlo nel microonde, ci sforziamo di fare ogni giorno quella rampa di scale che ci separa dalla nostra immobilità professionale e spesso precaria a piedi, addirittura facendo gli scalini due e due perché lo dice anche Elisir. Con le braccia, perché abbiamo ogni tipo di facilitatore che ci porge le cose e fa sembrare tutto più comodo, per non parlare dei telecomandi e le console tanto che ammiro a dismisura in modo con cui utilizza il dispositivo per il controllo della tv mia figlia. Lo tiene vicino al televisore, e quando vuole alzare il volume del suo cartone preferito perché di là facciamo baccano con le nostre discussioni su Bersani si alza dal divano, afferra il telecomando, lo punta verso la tv, alza il volume, ripone il telecomando lì dove l’ha preso e torna a sedersi sul divano. Ecco, è da lei che mi devo sforzare a imparare. È dai bambini che dovremmo prendere ripetizioni per non estinguerci nel giro di un paio di generazioni, consumati nella nostra fretta di anteporre il dopo al presente.

Non ci credete? Uno dei motivi per cui adoro il sabato mattina, bramo affinché arrivi al più presto e come tutti voi non cambierei il sabato mattina nemmeno con la più vantaggiosa delle dritte sulla schedina vincente, è che il sabato mattina è il momento in cui mi siedo allo scrittoio con mia figlia, dopo la colazione, e la assisto mentre fa i compiti. Io non so se sia giusto o sbagliato, mia figlia frequenta la quarta elementare e non mi sembra di ricordare che quando avevo la sua età mamma o papà mi dessero supporto nello studio. Che poi non è che l’aiuto, perché è bravina, anzi, posso dire che se la cava piuttosto bene e, per ora, le piace. Mi metto lì e la seguo mentre fa l’analisi grammaticale o le frazioni perché è anche un modo per stare insieme, stare vicini, crescere e condividersi, e  finché non mi chiederà di lasciarla in pace o manifesterà segni di insofferenza alla mia presenza me ne guarderò bene dal privarmi di quel momento di vero relax.

Perché i compiti sono un’attività che i bambini fanno mettendoci il tempo che occorre. Le operazioni vanno fatte passo dopo passo, e non c’è nulla che possa anticipare il risultato. Occorre arrivare fino alla fine, magari poi c’è da fare pure la prova e confrontare i due risultati per vedere se è tutto a posto. Le divisioni si risolvono così, cifra dopo cifra. Abbasso l’otto, il sette nel quarantotto ci sta sei volte con il resto di sei. Scrivo sei e abbasso il due. Un processo da seguire con una lentezza che è inevitabile, non assoluta ma standard e contro la quale non si può sperare di vincere. Come il tempo che l’acqua ci impiega a bollire. Un fagiolo nel cotone a spaccarsi per fare uscire la piantina. Per fare i compiti ci si siede a un tavolo in ordine, con tutto il necessario, e si costruisce a mano quel pezzo di esperienza, se non addirittura di conoscenza, che resta. Non è digitale, non è solubile, non è a effetto immediato, non è usa e getta, tanto meno in mater-bi e destinata a un riciclo fruttuoso. Ha una massa, un volume, esercita una pressione e prende la forma del contenitore umano che la circonda. La tocchi e ha la sua grana, la sua consistenza. Da quel momento la porti sempre con te. Ecco, fate i compiti con i vostri figli, perché sono loro che vi aiutano a rimettere in sesto tutte quelle cose che nemmeno pensavate vi servissero più. Sono ancora lì da qualche parte e si ricordano di voi perché voi, a vostra volta, gli avete dedicato il tempo necessario.

11 pensieri su “abbasso il tre

  1. Il sabato mattina l’ho ceduto in cambio del posto fisso e anche se mia figlia non fa ancora i compiti giá mi manca. Ma il tempo per il gioco, quello si che ce lo prendiamo.

  2. Bellissimo davvero.
    Tua figlia è una ragazzina davvero specialo, l’ho già scritto e mi ripeto volentieri.
    E grazie di aver condiviso queste riflessioni, sono preziose.

  3. “abbasso il tre « alcuni aneddoti dal mio futuro”
    was in fact seriously compelling and educational!
    In todays world honestly, that is very hard to manage. Many thanks, Gertie

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