Una mattina di nebbia, la natura che si risveglia indistinta, i rumori ovattati, fiatare nel gelo. Anche in inverno, la campagna elettorale conserva tutto il suo fascino. Certo, si cammina e ci si incontra e anche se ci si conosce da secoli ci si guarda con il sospetto legittimo. E ci si vorrebbe chiedere cosa voti questa volta, se è cambiato qualcosa, sei rimasto deluso dall’ultima esperienza, ti sei scocciato o sei sempre intenzionato a, poi le primarie e così via. Ma sappiamo che quello sì che è un terreno lungo il quale non è bene inoltrarsi. Perché la campagna elettorale non è solo uno spazio, un non luogo con tutti i suoi pannelli rivestiti di brandelli di manifesti delle amministrative di qualche anno prima, con le facce dei perdenti che ormai non ci si ricorda più e le liste che hanno sostenuto progetti poco convincenti già in partenza. A volte addirittura installati capovolti, con i candidati o quello che ne rimane a testa in giù che richiama gli antichi fasti della madre di tutte le vittorie.
La campagna elettorale è anche un tempo ben distinto con un suo inizio e una fine (ma c’è chi sostiene che non è vero) in cui tutto è sospeso e rarefatto. A partire dall’attività del governo uscente e l’economia che attende le nuove indicazioni che saranno, fino a piccole cose come i nostri rapporti con il prossimo. Perché magari sorprendi il tuo vicino che fino a ieri faceva le salamelle alla festa dell’Unità e questa volta voterà i cinquestelle, che non è la stessa cosa che accadeva quando eri per esempio repubblicano e al terzo bicchiere di vino cantavi gli inni del fascismo o quelli di sinistra moderata con i canti dell’armata rossa. Questa volta è diverso, o forse no.
Forse è una di quelle volte come le altre che sembra che succederà chissà cosa e poi invece niente. Maggioranze risicate, stabilità millimetrica, apparentamenti dubbi, programmi diluiti. Così la mia solidarietà va a quelli che a ogni consultazione s’illudono che questo paese possa essere un paese di sinistra, capace di condividere visioni coraggiose e progressiste. Coloro che si stupiscono se le percentuali si avvicinano ogni volta e si stringono nella cabina, dove c’è tutta una maggioranza che si sente soffocare e mette la croce altrove. Coloro che non distinguono la propria cerchia di conoscenze dalla moltitudine di suv-umani là fuori. Tanto che poi uno arriva a pensare che forse è meglio che i capi delle coalizioni e i parlamentari alla fine li scelgano i D’Alema della situazione, giacché ci si fida molto più di uno come lui rispetto alla scelta che possono effettuare quelli che sono davvero pateticamente disinformati.
Non credo riuscirò a convincere nessuno a cambiare idea o farsela in caso di indecisione, dà persino fastidio a me che l’evangelizzazione al voto sia rivolta esclusivamente a chi è già convinto del proprio orientamento. Fosse per me salterei a piè pari l’intero febbraio – se non fosse per il compleanno di mia figlia – per risvegliarmi con le prime proiezioni in mano. Anzi, già al primo dibattito in tv, tra tutti quelli che pareggeranno. In ogni caso, se ci tenete a saperlo, io voterò con l’intento di dare maggiore stabilità al partito – da Monti a questa parte – che ha più probabilità di vincere. E mi comporto quasi sempre così. Chiaro che la mia coscienza sarebbe oltre, ma chi se ne frega. La politica è una sintesi sopraffina. I canti dell’armata rossa me li faccio all’osteria, con gli amici, al terzo bicchiere di vino.
É di molti il difetto di scambiare la situazione italiana per quella della cerchia di conoscenti. Sia situazione politica che sociale. É un inganno da cui riprendersi
bisogna uscire dal proprio metro quadro, ma mi si è bloccata la serratura mannaggia
Quando trovi un fabbro mandalo da queste parti